Coronavirus arriva anche nell’abbazia di monache di clausura

Il convento di suore "Figlie di San Camillo" di via Anagnina a Grottaferrata,
Il convento di suore "Figlie di San Camillo" di via Anagnina a Grottaferrata,. ANSA/ANGELO CARCONI

MILANO. – All’isolamento e alla pazienza le monache benedettine di un’abbazia alle porte di Milano sono abituate: la clausura a cui le 22 sorelle hanno dedicato la vita ha insegnato loro a convivere con la solitudine, con l’attesa, con le rinunce, anche con le paure. Ma non con il coronavirus.

Quel nemico invisibile che ha invaso la Lombardia ha raggiunto anche quell’oasi di pace alle porte del capoluogo lombardo, contagiando nove monache che ora sono in auto-isolamento, curate nel corpo da una di loro, che è medico, e nello spirito dalle preghiere delle sorelle.

La conferma della positività al Covid-19 non c’è: “Presumiamo sia coronavirus – racconta una delle monache all’ANSA -. Hanno febbre alta, tosse, qualcuna fatica a respirare, sintomi chiari e riconducibili al virus ma nessuno è venuto a verificare. Questo ci ha molto sorpreso e addolorato”.

Dalla Lombardia alla Liguria, cinque suore appartenenti all’ordine delle “Figlie della Sapienza”, di Sanremo, domiciliate presso un’ex scuola adibita a casa di riposo per religiose, sono invece morte nell’ultima settimana a causa del coronavirus.

“Erano anziane, avevano tutte patologie pregresse e sono risultate positive al coronavirus”, conferma il vescovo della diocesi di Ventimiglia e Sanremo, mons. Antonio Suetta.

Tornando invece alla situazione delle benedettine del milanese, hanno chiesto aiuto prima al “medico condotto che ci ha detto che non sarebbe uscito”. Così hanno tentato con i medici dell’ospedale di Melegnano che “ci hanno detto che non dovevamo presentarci” al Pronto Soccorso.

“Una delle nostre sorelle, che è dottoressa, ha inviato anche un report dettagliato all’Ats, ma hanno risposto che ci mettevano in lista” per i tamponi “ma che le liste di attesa erano lunghissime e solo con problemi respiratori davvero severi” sarebbero venuti.

“Ci siamo attrezzate – spiega ancora – e abbiamo cercato il più possibile di fare da sole”. Le prime mascherine le sorelle le hanno cucite nella sartoria dell’abbazia con le loro mani: “Ci siamo industriate con garze e tessuto che avevamo qui, abbiamo capito da subito che era importante” proteggerci e “ci siamo anche auto-limitate nel mangiare” per fare tesoro delle provviste perché “ora il supermercato con cui avevamo un accordo non consegna più”.

“E’ una situazione difficile e inquietante, siamo molto preoccupate: l’80% di noi ha più di 80 anni. Ora la nostra esigenza è reale”.

Tutto è iniziato quando a fine gennaio una delle monache ha avuto il permesso di uscire, per un periodo di tempo, dalla clausura per assistere una sorella malata che aveva subito un’operazione in ospedale. Al suo rientro in abbazia, dopo i primi sintomi sospetti, è stata messa in quarantena, ma dopo di lei altre sorelle hanno iniziato a stare male.

La vita in comunità prosegue per chi non è contagiata e qualcuna “inizia a stare meglio, ma non sappiamo se riunirla a noi”. Mascherine, guanti, farmaci e spesa “ce le lascia un’amica davanti al portone”. La preghiera rimane il momento più significativo tra le benedettine dell’abbazia che però lanciano un appello: “Chiediamo che anche le comunità come la nostra possano essere oggetto di attenzione”.

(di Giulia Costetti/ANSA)

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