Gli affari dei clan mafiosi al tempo del Covid-19. Sos turismo

PALERMO. – La ristorazione, i viaggi, il turismo, tra i settori più esposti alla crisi economica determinata dall’emergenza coronavirus, sono gli ambiti nei quali le mafie potrebbero riorientare i propri interessi.

L’allarme arriva dallo studio “L’impatto del coronavirus sulle infiltrazioni della criminalità organizzata” realizzato da Transcrime-Università Cattolica. Da anni impegnato in ricerche sulla criminalità organizzata, il centro interuniversitario della Cattolica, dell’Alma Mater Studiorum di Bologna e dell’Università degli studi di Perugia, attraverso il suo spin-off Crime&tech, ha sviluppato una ricerca sui possibili business delle organizzazioni mafiose al tempo del covid 19.

Previsioni che partono da dati preoccupanti che raccontano di un 10% di imprese a rischio default se la crisi non si arresta entro l’anno e della gravissima crisi di liquidità che vivono le attività economiche del Paese. Un esempio tra tanti: secondo gli ultimi bilanci, il 49% delle imprese italiane avrebbe il denaro sufficiente per coprire solo 120 giorni di costi del personale.

Il sospetto, dunque, è che i clan possano concentrare le loro attenzioni su ambiti nuovi: come il turismo e tutto ciò che intorno ad esso ruota, la ristorazione, l’attività ricettiva, i trasporti, settori travolti dal lockdown.

“Le mafie – spiega il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi – hanno una grande capacità di fiutare gli affari e di infiltrarsi nell’economia legale e soprattutto possono contare su un’enorme quantità di denaro da riciclare. Il reinvestimento nelle attività economiche in crisi non sarebbe una novità, in fondo è un fenomeno già osservato ‘in tempo di pace’, che maggiormente si può presentare in periodo di crisi, quando la sofferenza economica delle imprese è forte.

Torna alla memoria una vecchia intercettazione risalente alla caduta del muro di Berlino in cui un mafioso diceva al suo interlocutore ‘vai all’Est e compra tutto’. Le organizzazioni mafiose più forti sanno cogliere tutte le opportunità in cui c’è da lucrare e questa è una cosa che ora potrebbe non riguardare solo l’Italia, ma anche gli altri Paesi almeno europei attraversati dall’emergenza e che poi dovranno ripartire”.

“Gran parte del lavoro che è venuto a mancare, poi, era lavoro nero, sommerso”, aggiunge Lo Voi. “E il venir meno all’improvviso delle fonti di reddito non denunciate fa di loro un bacino di manodopera per le associazioni criminali”. Gli aspetti di rischio sono tanti e non solo economici come spiega Andrea Carnì, ricercatore universitario in Studi sulla criminalità organizzata all’Università di Milano.

“Le mafie – dice – da questo terribile momento potrebbero trarre quel consenso sociale che, come dimostrano alcune inchieste, recentemente era in calo. L’intervento economico in alcune realtà, il dare respiro a imprenditori in difficoltà, ma anche al privato cittadino che non sa come sbarcare il lunario, consente alla criminalità di riacquisire ‘popolarità'”. Carnì sottolinea anche il rischio che la criminalità metta gli occhi sui flussi di denaro pubblico che caratterizzano la ripresa dopo l’emergenza.

“Pensiamo agli investimenti nella sanità”, spiega. Settore a rischio anche per la ricerca di Transcrime che cita la distribuzione di dispositivi medici e farmaceutici come nuovi business delle mafie. E da Transcrime arriva un monito. “Non dobbiamo ripetere gli errori commessi in passato ad esempio in occasione delle ricostruzioni dopo calamità naturali”, avverte il direttore Ernesto Savona, alludendo alla ricostruzione dell’Irpinia.

“Ogni ricostruzione – dice – ha prodotto leggi che hanno accresciuto le opportunità criminali. Lo Stato finora nelle emergenze ha legiferato in modo tale da velocizzare l’arricchimento criminale e ritardare le ricostruzioni”.

(di Lara Sirignano/ANSA)

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