Coronavirus: app tracciamento, la scelta a metà settimana

Schermo di computer. Stringhe di dati.
Schermo di computer. Stringhe di dati.. App tracciamento. EPA/RITCHIE B. TONGO

ROMA. – Si conoscerà molto probabilmente a metà settimana l’app di tracciamento italiana del Coronavirus scelta dalla task force tecnologica del governo per accompagnare la cosiddetta ‘fase due’ della ripresa. Il contingente di 74 esperti sembrerebbe orientato già verso una soluzione tra le 319 proposte arrivate e l’adozione della tecnologia bluetooth potrebbe soddisfare diversi requisiti.

Resta ancora aperto li tema della raccolta, uso e conservazione dei dati degli utenti. Ma soprattutto, una volta individuati i contagiati o chi ne è entrato in contatto, la capacità di poter fare tamponi a tappeto e in base ai risultati riprendere gradualmente le attività produttive.

“L’app per il tracciamento del contagio non sarà risolutiva perché molti pazienti contagiati sono anziani e non hanno uno smartphone, mentre molte persone non sanno neanche di essere positive perché asintomatiche. Affinché il sistema possa funzionare bisognerebbe mettere i cittadini in condizione di sapere con certezza se si è stati contagiati”, spiega all’ANSA Chiara Sgarbossa, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, che mette l’attenzione sull’efficacia del sistema legata al ‘digital divide’ del nostro paese – come dimostrano i dati Istat di oggi – e alla capacità di fare tamponi a tappeto del nostro sistema sanitario.

“Anche l’esperienza dell’app lombarda – sottolinea – è una primissima mappa ma non esaustiva e affidabile, non tutti la scaricheranno e non tutti la compileranno. Se gli abitanti della Lombardia sono 10 milioni e la scaricano in 500mila, siamo al 5% della popolazione. E’ tutto lasciato alla volontà civile e sociale del cittadino di auto-dichiararsi”.

Altra sfida, dunque, è convincere un numero sufficiente di persone a installare l’app per renderla uno strumento efficace. Secondo Marcel Salathé, che dirige un laboratorio di epidemiologia digitale all’Epfl (‘Ecole polytechnique federale di Losanna), dovrebbe utilizzarla il 60% della popolazione.

C’è anche lo snodo legato alla privacy e al rispetto della normativa europea sulla protezione dei dati (Gdpr) posto che un sistema di tracciamento non può essere realizzato sul modello di sorveglianza cinese, non volontario. Nei giorni scorsi la Commissione Ue ha accesso un faro su questo tema.

E c’è già un progetto di software europeo a cui l’Italia potrebbe agganciarsi. E’ messo a punto da 130 ricercatori di otto paesi, si chiama Pan-European Privacy Preserving Proximity Tracing (Peoo-Pt), funziona col bluetooth e “permette un approccio al tracciamento digitale di prossimità anonimo e rispettoso della privacy e utilizzabile anche quando si viaggia da un Paese all’altro”.

E l’elemento dell’interoperabilità tra paesi sarà fondamentale nella ‘fase due’ viste le diverse quarantene e riaperture. Il software europeo garantisce, secondo alcune delle organizzazioni coinvolte tra cui l’Istituto Fraunhofer Heinrich Hertz di Berlino, anche standard di sicurezza informatica capaci di proteggere dati che potrebbero essere facile bersaglio di hacker in questo momento. Un know-how che potrebbe tornare utile alla task force italiana che al momento non prevede al suo interno un esperto di cybersicurezza.

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