L’Istat: “shock rilevante”. L’Ilo: “195 milioni di posti in fumo”

BCE - disoccupato
Un disoccupato siede in una panchina in un parco.

ROMA.  – Il lockdown genererà “uno shock rilevante e diffuso sull’intero sistema produttivo” italiano. É questo il primo verdetto dell’Istat sull’impatto económico dell’epidemia.

L’Istituto di statistica azzarda anche qualche previsione, stimando una contrazione fino al 10% dei consumi e del 4,5% del valore aggiunto, parente stretto del Pil. Lo sconvolgimento ha però dimensioni globali, “senza precedenti storici”, scrive l’Istituto di statistica, guardando oltre confine.

E di “effetti devastanti” sull’occupazione parla l’organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo): andranno in fumo così tante ore lavorate che potrebbero essere cancellati 195 milioni di posti.

Insomma l’Italia e il mondo dovranno affrontare una recessione che non ha paragoni nel tempo e non conosce steccati nazionali. La statistica tradizionale si ritrova spiazzata davanti a un evento epocale contrassegnato da una pandemia che corre velocemente. Diventa “difficile” monitorare le conseguenze economiche, stando al passo.

L’Istat lo ammette ma non si arrende. Immagina due scenari. Il primo si basa su un blocco limitato a marzo e aprile. Due mesi di stop sarebbero sufficienti a perdere il 4,1% dei consumi e l’1,9% del valore aggiunto. Se lo stop dovesse protrarsi anche a maggio e giugno allora gli ammanchi sarebbero più che doppi. Con ripercussioni dirette su 900 mila occupati.

I contraccolpi più forti si registrerebbero per hotel e ristoranti, che perderebbero quasi un quarto del valore aggiunto. D’altra parte già oggi le restrizioni anti-contagio toccano il 34% della produzione. Quanto le perdite siano profonde lo suggerisce anche la “sfiducia” di imprese e famiglie.

L’intensità della crisi innescata dal Coronavirus, stando ai giudizi di aziende e consumatori, già a marzo, resulta più acuta delle precedenti, andando anche oltre ai minimi del 2008. Tracollo testimoniato dal flusso dei tweet, di cui l’Istat tiene il polso, attraverso il “Social mood on economy index”.

In cima alle preoccupazioni c’è il lavoro, che viene a mancare. Non sono solo timori se l’Ilo, agenzia delle Nazioni Unite, prevede che il Coronavirus cancellerà il numero di ore lavorate nel mondo del 6,7% nel secondo trimestre del 2020, pari a 195 milioni di unità a tempo pieno. E già in questo momento, calcola, più di 4 lavoratori su 5 sarebbero interessati dalla chiusura totale o parziale delle attività produttive.

Il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, non usa mezzi termini: siamo di fronte “a una catastrofe”, alla “peggiore crisi globale dopo la seconda guerra mondiale”. Guy raccomanda di agire súbito in modo “congiunto” e “deciso” per evitare il “collasso”.

C’è infatti una fascia fragile del mondo del lavoro, che non reggerebbe senza adeguati paracaduti. Per l’Ilo ammontano a ben 1,25 miliardi le persone impiegate in settori definiti ad alto rischio, dove maggiore è la probabilità di andare incontro a un’ondata di licenziamenti o tagli alle retribuzioni. “Molti svolgono lavori poco retribuiti e poco qualificati, dove un’improvvisa perdita di reddito può rilevarsi devastante”, si legge nel Report.

Intanto secondo uno studio condotto da economisti della Banca d’Italia le ricerche di lavoro, almeno attraverso il canale web, sono crollate. Tanto che a marzo il Google Index segna un -39%. Anche in questo caso si tratta di un calo senza precedenti.

L’epidemia sta quindi minando le fondamenta della forza lavoro:la motivazione. In questa situazione lo scoraggiamento potrebbe dilagare. Se ne avvantaggerebbe il tasso di disoccupazione, che tiene conto di chi è a caccia di un posto.

Ma sarebbe solo un effetto ottico.  La sostanza non cambia. I numeri sulla disoccupazione sarebbe mitigati ma tutto ciò in presenza comunque, si chiarisce, di “un probabile calo marcato dei livelli di occupazione”.

Una stima precisa dell’emorragia la fa Unioncamere, secondo cui probabilmente nel 2020 si perderà quasi mezzo milione di posti: 422 mila in meno, la metà dei quali nel turismo.

(di Marianna Berti/ANSA)

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