Addio a Sabia, atleta olimpico stroncato da Covid-19

Donato Sabia nella finale degli 800 metri alle Olimpíadi finalista alle Olimpiadi di Seoul di 1988.
Donato Sabia nella finale degli 800 metri alle Olimpíadi finalista alle Olimpiadi di Seoul di 1988. (ANSA)

POTENZA.  – Donato Sabia – stroncato oggi a Potenza dal coronavirus – era uno di quelli della generazione d’oro dell’atletica leggera italiana. Un lucano, schivo, timido, testardo, dal cuore grande. Un uomo che non ha mai accettato i compromessi del doping.

Un mezzofondista che raggiunse due finali olimpiche negli 800 (quinto a Los Angeles ’84 e settimo a Seul ’88), che fu più volte campione italiano e che fu campione europeo indoor a Goteborg sempre negli 800 e sempre nel 1984, il suo anno magico.

Se non fosse stato per quei tendini “di seta”, avrebbe forse ottenuto risultati ancora più prestigiosi. Oggi, a 56 anni, nell’ospedale San Carlo del capoluogo lucano, dove era ricoverato da un paio di settimane, anche Donato Sabia, pochi giorni dopo il padre, è entrato nel lunghissimo elenco delle vittime del coronavirus. Ognuna delle quali è una storia, ma se quella storia tocca un atleta olimpico, uomo sano e di giovane età, al dolore si aggiungono stupore e dubbi

Nato a Potenza nel 1963, Sabia cominciò la sua carriera da quattrocentista quasi per caso, passando dal calcio all’atletica. Del resto, a metà anni Settanta, nel capoluogo lucano, gli atleti si allenavano nella pista di terra rossa che circondava il terreno di gioco del Campo sportivo “Alfredo Viviani”.

I primi successi nelle categorie giovanili lo proiettarono all’attenzione nazionale, tanto che si trasferì a Formia, al Centro tecnico degli azzurri. Lì conobbe e divenne amico di Pietro Mennea, lì Carlo Vittori e Sandro Donati intuirono e plasmarono il suo talento che lo portò a detenere per quasi 30 anni il record mondiale dei 500.

Ma la sua gara era quella del “doppio giro”. Nel magico 1984, oltre a Goteborg e Los Angeles, ci fu anche Firenze dove fece registrare un grande tempo, ancora oggi il terzo italiano di sempre sugli 800. Poi, proprio quando avrebbe potuto spiccare definitivamente il volo, gli infortuni ne rallentarono la carriera e lo spinsero a dire “no” al doping.

Il suo talento, però, era così grande che riuscì a centrare un’altra qualificazione a “Cinque cerchi” per Seul ’88. Nello stesso anno fu anche protagonista del primo sciopero dell’atletica azzurra, agli Assoluti di Milano, in segno di protesta contro la decisione del Coni di non iscrivere la staffetta 4×400 all’Olimpiade coreana.

Gli anni successivi furono quelli del declino, causato anche da nuovi infortuni, fino al ritiro e all’avvio della carriera da tecnico. La sua lotta e le sue denunce contro il doping – Sabia lo sapeva bene – davano “fastidio” e così divenne l’allenatore della nazionale di Malta con cui partecipò alla sua terza Olimpiade, Sidney 2000.

Poi il ritorno a Potenza – dove oggi tutto piangono la sua scomparsa e ricordano la sua bontà d’animo – l’impiego al Comune e il ruolo di presidente del Comitato regionale della Fidal.

Sempre con quel carattere schivo, un po’ timido, ma con un cuore grande. Un lucano. Un “fenomeno, un grande campione”, così l’ha definito il presidente del Coni, Giovanni Malagò. “Un esempio”, ha detto il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi; “un grande italiano”, per il Ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora.

(di Francesco Loscalzo/ANSA)

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