L’assegno in bianco

Alberto Sordi in una scena dal film "L'avaro".
Alberto Sordi in una scena dal film "L'avaro".

– Tu non hai idea di quanto siano pesanti le gocce di sudore che scorrono sulla fronte – soleva ripetere Leo al giovane figliolo. – Bisogna avere cura del denaro perché è difficile guadagnarlo con il lavoro tenace ma facile sperperare poi, specialmente quando le cifre nei conti correnti traggono in inganno dando la sensazione di abbondanza…

Leo era giunto in Venezuela nel luglio del ’57, pochi mesi prima del crollo dell’oltraggiosa dittatura che, per fortuna, ebbe almeno il merito di stimolare, per il progresso del paese, un’immigrazione selettiva che in quegli anni arrivava numerosa dall’Italia, dalla Spagna e dal Portogallo e, seppure in minore scala, anche da altri paesi dell’Europa colta e laboriosa.

In realtà, lui viveva agiatamente nella sua Verona natia, dove gestiva insieme al padre un prospero negozio di calzature. L’idea di salpare da Genova per raggiungere la terra delle promesse certe nasce da una sfida con sé stesso sorta per caso. Un suo unico cugino, semianalfabeta e senza morale alcuna, bersaglio di scherno per la goffaggine delle sue azioni e per l’estrema audacia irresponsabile, si era imbarcato un paio d’anni prima insieme a un compagnone della stessa specie, alla ricerca di avventure strampalate, occultando gli scrupoli nel buco del sedere. In poco tempo, infatti, diventa milionario e ha il coraggio, un giorno in cui nessuno se l’aspettava, di presentarsi in Piazza dell’Arena con un sombrero pelo e’ guama[1] in testa, un sigaro in bocca e alla guida di un lungo ed elegante Ford decappottabile. Leo, quando lo vede, prova una gran rabbia, che non è invidia, poiché intuisce che quella messinscena è il frutto di un denaro ottenuto sicuramente in modo illecito.

– Dimostrerò a questo sacco di patate privo di morale – dice a sé stesso con la determinazione di chi ha già preso una decisione definitiva – che è possibile fare soldi senza bisogno di sporcare l’onore e il decoro di famiglie perbene.

Giunto a Caracas, lavora come aiuto cuoco in un hotel ricercato della città, finché un giorno conosce un signore ebreo importatore di lampade, anziano, straricco e senza figli, che gli si affeziona ed è contraccambiato in egual maniera. Gli affida il negozio il quale, sotto la sua guida, continua a prosperare come l’erba dei prati nella stagione delle piogge[2] e, quando questi muore, Leo è colto da una piacevolissima sorpresa: il notaio lo informa che nel testamento il vecchio lo ha reso beneficiario di un terzo del negozio.

Da quel momento, si sarebbe potuto ritenere soddisfatto e tornare in patria con la missione compiuta di aver dato uno schiaffo morale al cugino spudorato, dimostrando a familiari e amici che non sono necessari i sotterfugi illeciti per fare soldi. Ma non vanno così le cose. Questa terra scotta sotto i piedi scalzi, e il sole tropicale intrappola nella sua rete di raggi luminosi persino il pesce che, stranamente, non si agita per tornare in mare.

Leo, in realtà, non ha vizi né grandi né piccoli. Risparmia con molto impegno i frutti del sudore della sua fronte già ampia per i capelli diradati. Ha una sola debolezza che non nasconde: ama le donne e le attira a sé nonostante non ricompensi a mani piene i favori ricevuti per il piacere del corpo. Ma non illude nessuna. Ripete a tutte che non aspira a mettere su famiglia. Che solo cerca amicizie senza impegni di fidanzamenti e meno ancora di matrimoni perché non si addicono alla sua natura di uccello libero. Un giorno, tuttavia, Mireya la mulatta lo fissa negli occhi con i suoi color marrone e gli dice a bassa voce, quasi sussurrando le parole:

– Sono incinta, amore. Tu sei il padre della creatura.

Rimane attonito Leo. La lingua gli si blocca in bocca come il batacchio della campana il venerdì santo. Si riprende secondi dopo, quando la giovane continua a parlare per concludere in questo modo il suo pacato monologo:

– Oh, tranquillo, non stare in pena. So che è difficile pretenderti al mio fianco. In questa terra dall’atavico matriarcato, alla donna non pesa fare da madre e padre. Darò il mio cognome al figlio che porto in grembo, ma tu mi devi garantire che non lo abbandonerai, mi devi assicurare che saprai sorridergli e accarezzargli la crespa capigliatura quando si avvicinerà e ti chiamerà dolcemente: “papà”.

Nasce il bimbo che al posto della pelle scura e dei capelli crespi, come se lo immaginava la madre meticcia di questa terra, ha, invece, il viso di cera e gli occhi a mandorla come il padre, il quale si rallegra per questo dettaglio poiché più volte aveva dubitato di essere stato l’unico a possedere il corpo appetitoso di Mireya e, pertanto, che fosse il vero padre della creatura.

Cresce Maurilo, come ogni bimbo, con l’affetto della madre, ma anche con la mano protettrice del padre, sebbene lo veda di rado o in alcuni giorni speciali. Va a scuola vestito alla moda come gli altri: camicie colorate, blue jeans di marca stile cowboy, stivaletti di cuoio importati e porta i capelli lunghi come il suo cantante pop preferito. Una sola cosa lo distingue. Scarseggiano i soldi in tasca, specialmente quando gli anni passano e si cominciano ad assaporare con maggiore necessità le uscite con gli amici al cinema o le espatriate nei centri commerciali anche lontano da casa.

– Ricorda, figliolo, che i soldi non cadono dal cielo come la pioggia che alimenta i fiumi – lo tormenta il padre ogniqualvolta lui insinua un aumento della paghetta per le spese personali. – La ricchezza si costruisce col sudore e la fatica, ma anche risparmiando il più possibile. Chi sperpera il denaro senza pensarci, alla leggera, sarà destinato a vivere come il mendicante quando con gli anni scemano le forze.

In realtà, col trascorrere del tempo, quando l’età comincia a far sentire che la carne affloscia e le ossa indeboliscono, l’accumulo del denaro per il solo piacere di contarlo si converte in una smisurata ossessione per quell’uomo, tanto da creargli fama di avaro persino tra il gruppo di amici che frequenta in un club della città. Nessuno sa niente delle cose sue: se possiede delle proprietà qui o fuori, se ha aperto un conto in valute forti, se ha fatto testamento a favore di qualcuno, eccetera. Nessuno sa. Neanche il figlio. O meglio: il figlio ormai lo vede poco, perché, da quando lavora in un’azienda di cosmetici, rinuncia persino alla misera paghetta che correva a prendersi la domenica.

Un giorno, Leo china la testa sul petto dal peluzzo bianco, come un uccellino quando dorme. Gli amici gli chiedono se si sente bene e si offrono ad accompagnarlo in ospedale.

– No – risponde lui. – Non mi parlate di medici. Sono dei sanguisuga simili ai vampiri dei racconti. Se entri che stai bene, poi esci con cinquanta malanni dai loro studi magici. Me ne vado a casa. Non vi preoccupate. Ho avvertito un lieve capogiro, ma già mi sento meglio. Grazie di tutto. Arrivederci.

La settimana dopo Luigi, il compagno di giochi nella sala da biliardo dove il ricco immigrato era solito trascorrere il fine settimana, porta sue notizie lasciando tutti, a dir poco, attoniti.

– Avete saputo di Leo? – esordisce costui con un tono triste. – È morto.

E racconta la versione, riferita direttamente dal figlio, il quale lo aveva chiamato per sapere se il padre gli avesse accennato qualche volta sui suoi conti in banca o sui suoi beni.

– Mi ha detto Maurilo che la settimana scorsa ­– prosegue Luigi circondato da un capannello di amici – a causa di un fortissimo abbassamento di pressione, precipita a terra in casa, sbattendo la testa contro un mobile. Dal pavimento lo alza la portinaia e lo porta subito in ospedale, quello vicino casa sua nei pressi di El Llanito[3]. Lì non hanno stanze disponibili per un intervento d’emergenza e lui, svenuto, non può svelare dove sia il denaro per potere essere trasferito in una clinica privata, o in qualunque altro angolo del mondo, poiché le sue finanze sarebbero bastate anche per questo. Muore, invece, come un cane investito su un’autostrada: solo e abbandonato. Che tristezza! La cosa più assurda di questa vicenda è che il figlio, sebbene abbia rovistato da cima a fondo la casa, non ha trovato niente. O meglio, ha trovato soltanto tra le pagine ingiallite di un libro, un assegno in bianco firmato dal defunto. Si strofina le mani, il giovane, pensando di aver risolto, finalmente, tutti i suoi problemi. L’entusiasmo, però, dura appena pochi istanti, poiché subito si rende conto che l’assegno apparteneva ad una di quelle banche fallite recentemente[4]. Sentendosi beffato da tale commedia, che sembrava preparata come nel gioco in cui si va a caccia del tesoro e si cade in una trappola proprio quando credi di essere vicinissimo alla meta, sapete cosa ha fatto Maurilo?

– Cosa ha fatto? – chiedono gli amici in coro.

– Beh, ha compilato l’assegno inserendo una cifra milionaria e dietro vi ha scritto queste testuali parole: “Caro papà, dal momento che ti piaceva così tanto accumulare denaro in vita da non toccarlo neppure in emergenze come quest’ultima che ti ha condotto alla tomba, perché tu lo tenga sempre ben stretto e in un posto sicuro, te lo lascio sotto il cuscino dove ora poggi la tua bianca testa morta. Goditelo per saecula saeculorum e requiescat in pace. Amen”.


[1] Cappello caratterizzato da una tesa molto larga per proteggersi dal sole, il sombrero pelo è guama o sombrero de cogollo (si legga cogoglio) è il copricapo tipico del Venezuela. Prende il nome dalle tenere foglie delle palme da dattero chiamate cogollo intrecciate artigianalmente e poi cucite a spirale fino a formare il sombrero.

[2] L’analogia stilistica diventa più significativa se si capisce che in Venezuela, con un clima prevalentemente tropicale e quindi di solito arido, la vegetazione ritorna verde dalle molteplici tonalità durante la chiamata “stagione delle piogge”, la quale inizia nel mese di maggio e dura fino a sei mesi.

[3] El Llanito (si legga el glianito) è quartiere del Municipio Sucre situato a nord-est di Caracas. Il riferimento è all’Hospital Dr. Domingo Luciani il quale, come tutti gli ospedali pubblici del Paese, è sempre molto affollato, e con le limitate risorse elargite dallo Stato non riesce a ricoverare la grande quantità di pazienti che arrivano al pronto soccorso.

[4] Nel 1994 una forte crisi finanziaria porta al collasso una decina di banche con gravi conseguenze soprattutto per i risparmiatori e un grave squilibrio dell’economia dello Stato.

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