La Cina stringe su Hong Kong e non fissa la crescita

Scontri tra studenti e polizziotti all'universitá Chinese. Immagine d'archivio.
Scontri tra studenti e polizziotti all'universitá Chinese di Hong Kong. Immagine d'archivio. (ANSA/EPA)

PECHINO.  – La Cina stringe la presa su Hong Kong e non annuncia, per la prima volta, il target di crescita per l’anno in corso.

Il premier Li Keqiang vara la doppia mossa all’apertura del Congresso nazionale del popolo, la sessione del Parlamento ritardata di oltre due mesi a causa del Covid-19.

Li ha assicurato che sull’ex colonia Pechino agirà per “istituire solidi sistemi giuridici e meccanismi di applicazione per salvaguardare la sicurezza nazionale”, in modo che il governo locale possa “adempiere alle sue responsabilità costituzionali”.

I mercati finanziari di Hong Kong, prima ancora del fronte democratico, hanno accusato il colpo e la Borsa ha chiuso la peggior seduta dal 2015 (-5,56%). Il nervosismo è per la perdita dell’autonomia della città con un’iniziativa mai finora azzardata da Pechino.

I territori, restituiti da Londra nel 1997, saranno coperti dalla legge sulla sicurezza nazionale per l’inadempienza della città che da sola avrebbe dovuto approvare la norma con l’articolo 23 della Basic Law, la mini costituzione.

“Nonostante il principio “un Paese, due sistema” sia stato attuato con successo, il rischio sulla sicurezza nazionale resta eccezionale”, ha detto Wang Chen, vicepresidente del Comitato permanente del Congresso durante i lavori.

“Potenze straniere sono in combutta con forze anti-cinesi e stanno minacciando la sicurezza nazionale. Forti misure sono necessarie per prevenire, limitare e punire le attività separatiste, sovversive, di infiltrazione e sabotaggio a Hong Kong”.

In base alla bozza da votare giovedì, il testo approvato sarà subito efficace con l’inserimento nell’Allegato 3 della Basic Law, senza un voto del parlamento locale. Pechino potrà così aprire e operare nella città con uffici di intelligence.

“Mi sento male – ha commentato Dennis Kwok, deputato pro-democrazia di Hong Kong -. Questo significa la fine di ‘un Paese, due sistemi'”. Il Civil Human Rights Front, il grupo delle proteste di massa del 2019 contro la legge sulle estradizioni in Cina, sta lavorando per la mobilitazione nel weekend. Di parere opposto la governatrice Carrie Lam: “Piena collaborazione per completare al più presto la legislazione pertinente”.

Il governo di Taiwan ha chiesto di evitare “grandi turbolenze” a Hong Kong, ma l’isola ribelle è finita nel mirino del premier Li: la Cina si opporrà “con fermezza” dissuadendo “qualsiasi attività separatista in cerca dell’indipendenza”, puntando alla “riunificazione” di Taipei che, questa volta, non è stata corredata dall’aggettivo “pacifica”, come da tradizione.

Per il segretario di Stato americano Mike Pompeo, sarà inferto un “colpo fatale” all’autonomia della città: “Siamo a fianco della gente di Hong Kong”, ha aggiunto, parlando di uno dei temi di scontro con Pechino, ormai a tutto campo. E anche l’Ue ha chiesto alla Cina di rispettare l’autonomia di Hong Kong, mentre in una nota congiunta Gran Bretagna, Australia e Canada hanno espresso “profonda preoccupazione” per l’ex colonia.

Le proteste violente dello scorso anno e l’evidente imbarazzo cinese, la possibilità di un loro ritorno a giugno, le elezioni del parlamentino di settembre favorevoli al fronte democratico e le leggi di tutela del Congresso Usa hanno spinto Pechino ad agire con un’ostentata prova di solidità del Partito comunista e della leadership del presidente Xi Jinping, a dispetto del Covid-19 e delle relative difficoltà. E questa potrebbe essere la anche la ratio del mancato riferimento alla crescita del 2020.

“Non fissiamo l’obiettivo specifico del Pil principalmente per la pandemia globale e le grandi incertezze su economia e commercio. La Cina sta affrontando fattori imprevedibili nel suo sviluppo”, ha affermato Li, elencando le misure di rilancio che hanno come priorità la stabilizzazione dell’occupazione.

Innanzitutto un deficit oltre il 3,6% dal 2,8% del 2019; oltre 9 milioni di nuovi posti di lavoro urbani (da 11 milioni), con la disoccupazione intorno al 6%, dal 5,5% del 2019. Poi, una politica monetaria “più flessibile e appropriata” e una serie di maxi emissioni di bond: 1.000 miliardi di yuan (140 miliardi di dollari) di titoli anti-virus; 3.750 miliardi di bond speciali dei governi locali; 300 miliardi di obbligazioni per finanziare le Pmi.

Un altro taglio delle tasse per 500 milioni, un impegno generico ad “attuare l’accordo con gli Usa sulla fase uno del commercio”, target qualitativi su import/export e spinta alle infrastrutture del 5G. Sul budget militare, la crescita è del 6,6%, pari a 1.268 miliardi, il livello più basso dal 1991.

Dopo il crollo del 6,8% del Pil nel primo trimestre, malgrado gli sforzi e la guerra vinta contro il coronavirus, il traguardo della “società moderatamente prospera”, fortemente voluto da Xi, sembra allontanarsi.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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