Infermiera foto simbolo: “Dedico la nomina ai colleghi”

Elena Pagliarini è l'infermiera di Cremona ritratta nella foto diventata simbolo dell'emergenza coronavirus.
Elena Pagliarini è l'infermiera di Cremona ritratta nella foto diventata simbolo dell'emergenza coronavirus. FACEBOOK/ELENA PAGLIARINI

MILANO. – La nomina a cavaliere al merito “la dedico a tutti gli infermieri, perché in quella foto c’ero io, ma c’erano la tristezza e lo sfinimento di tutta la mia categoria”: così Elena Pagliarini, protagonista dello scatto simbolo della lotta al covid, commenta l’onorificenza attribuitale dal Capo dello Stato.

Quell’immagine, con la testa riversa sul tavolo alla fine di un turno infinito, “mi fa molto emozionare – dice – è stata scattata durante un turno molto impegnativo, quel giorno abbiamo avuto molte emergenze e in molti non ce l’hanno fatta. Avevo appoggiato la testa due secondi e la dottoressa, che è mia amica, mi ha scattato quella foto”.

Era l’8 marzo “e sono felice anche di questo, perché la professione infermieristica è soprattutto femminile e vedere quell’immagine pubblicata proprio nel giorno della festa della donna è stata una forte emozione”.

Da quella foto, i sanitari sono diventati guerrieri, eroi, martiri: “ma non siamo niente di tutto questo – sottolinea Elena – siamo solo infermieri, lo eravamo, lo siamo stati durante l’emergenza e lo rimarremo, speriamo solo che questo periodo ci dia qualche riconoscimento anche a livello economico, perché in tanti anni ci sono state tante promesse ma mai mantenute”.

Nonostante questo, il lavoro rimane la grande passione di Elena: “pochi giorni dopo la foto, mi sono ammalata di Covid e sono dovuta rimanere a casa 23 giorni. Per fortuna l’ho preso in forma lieve, ma mi è dispiaciuto molto dover restare lontana dalla trincea, perché è così che diciamo tra colleghi, che siamo in trincea, a combattere una guerra senza armi, perché del Covid non si sapeva nulla e tutto ciò che è sconosciuto fa paura”.

In questi mesi lunghissimi “il momento peggiore è stato non riuscire a essere utile a chi conoscevo bene, e poi doverlo comunicare ai parenti, perché qui ci si conosce tutti e il virus è dilagato a macchia d’olio”. E poi, “gli sguardi che chiedevano conforto, e che non dimenticherò mai. Davanti a certi ‘ce la farò?’ ho dovuto mentire, e per fortuna che c’era la mascherina perché gli occhi si riempivano di lacrime”.

Ora, finalmente, “stiamo tornando a respirare, ci sono sempre meno accessi critici al pronto soccorso, di casi ne arrivano ancora, ma la carica virale sembra essersi abbassata, ma mai – sottolinea – abbassare la guardia, la battaglia non è ancora finita”.

Lei per prima, se da una parte sente che il virus l’ha fatta crescere professionalmente, rendendola “più attenta, più sensibile all’ascolto dei pazienti”, dall’altra vive “nell’ansia di poter contagiare qualcuno, anche se il covid l’ho avuto, perché dell’immunità non c’è certezza”.

(di Gioia Giudici/ANSA)

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