Bongiorno, ála za fato el giro?

A passeggio in Piazza Navona in tempo di Covid-19.
A passeggio in Piazza Navona in tempo di Covid-19. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

C’è un bel sole, mi aspetta una camminata lungo un percorso in campagna pronto ad accogliere chi finalmente si sgranchisce dal sofà. La mia mascherina mi accompagna, ed è felice perché la tengo ancora con me. Stamattina però rifletto io, non lei. Le ho detto che è il mio turno.

Osservo il comportamento della gente che, come me, riprende la routine di camminare, correre, fare jogging o passeggiare, come parte di un sano allenamento dopo mesi di confinamento. E la mente divaga, torna al mio arrivo in Italia da una vita vissuta in un paese caraibico.

E là (In Venezuela) quando ci si incrociava lungo un tracciato comune, era normale salutarsi con un cenno o un buenos dias. Qui, a fatica si incrociano gli sguardi e, se si può, si abbassa la vista. Il più delle volte osservo visi imbronciati, tanto che ormai mi ci sono abituata. Non credo sia colpa delle mascherine. Forse è la latitudine, siamo troppo a nord; o forse sono i problemi diffusi, o più semplicemente l’individualismo.

Fortunatamente, ci sono eccezioni. Qualche coppia di una certa età, qualche anziano che porta sulle spalle un’esperienza di crescita, raramente qualche viso giovane, solare ed educato. Per il resto, indipendentemente dall’età, il saluto in questa circostanza non si condivide.

Certo, l’abitudine di salutare ogni estraneo potrebbe interpretarsi in modo sbagliato. Ma un gesto solidale ci vorrebbe in alcune situazioni. È un modo per riconoscere l’altro come parte della stessa umanità. Un semplice cenno potrebbe alleggerire il peso che forse ci si porta dentro, convertendo l’attesa in una qualsiasi saletta in un attimo di umana condivisione.

E ora che portiamo le mascherine, la situazione non è cambiata. Forse gli sguardi sono un po’ più intensi, ma dubito che ciò testimoni la voglia di salutare credo, piuttosto, che una mascherina incuriosisca l’altra.

Con ogni passo che faccio, e mascherina che scanso, mi chiedo se veramente la liberazione dal lockdown abbia contribuito ad abbattere le molte barriere invisibili tra le persone. Non credo, perché l’assenza di un gesto di saluto quando ci si incontra per caso non è cambiata, è rimasta la stessa prima e dopo il virus. Quindi, in un certo modo, il distanziamento c’è sempre stato.

Con il virus ci siamo semplicemente allontanati fisicamente dalle persone che conosciamo, dagli amici e, in molti casi, dalla famiglia. Ma eravamo socialmente lontani l’uno dall’altro anche prima.

E mentre cammino e osservo quanto si sia rinnovata questa primavera, spunta la sorpresa: un viso segnato dall’età, sorridente e senza mascherina mi dice: “Bongiorno, àla za fato il giro?” (Buongiorno, ha già fatto il giro?). Mi volto stupita, sorrido e rispondo: “Bongiorno, si!”

Ecco, uno sconosciuto ha appena condiviso i miei pensieri e mi ha rivolto un saluto, andando oltre il semplice buondì. Forse mi aveva già osservata altre volte e non gli ero completamente estranea, ma non importa. Non sono stata io la prima a salutare. E mi conforta pensare che se uno inizia, l’altro risponde. Quindi, c’è bisogno di un avvio, il resto seguirà.

Giancarla Marchi

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