Donazioni di plasma all’Ospedale Sacco, il primo è un giudice

Una donna dona il sangue per trasfusione plasma.
Una donna dona il sangue per trasfusione plasma.. EPA/Zoltan Balogh

MILANO. – A inizio marzo era stato il primo magistrato del Palazzo di Giustizia di Milano, presto diventato, parole sue, “un cluster” di contagi, ad ammalarsi di coronavirus e ad essere ricoverato, assieme alla moglie. Oggi il giudice Fabio Roia è tornato all’ospedale Sacco, dal quale era stato dimesso dopo oltre tre settimane, come primo donatore di plasma iperimmune per la struttura milanese che ha dato il via alle procedure, già in corso a Pavia e Mantova, che saranno utili per le cure di malati Covid.

Le donazioni di plasma da parte di pazienti guariti sono iniziate stamani nell’ospedale milanese, che è stato sempre in prima linea nella lotta al coronavirus. Come ha spiegato Augusto Federici, direttore dell’Unità complessa di ematologia e medicina trasfusionale dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco, c’è già una lista di persone pronte alle donazioni e ne verranno effettuate “da 4 a 10 a settimana”.

Da ogni donatore, ha chiarito il professore, si otterranno “tre dosi di plasma” che potranno essere utili “nelle cure di tre malati o di un solo malato grave” che avrà bisogno di tre infusioni.

Dopo aver sconfitto il Covid, Roia, presidente della Sezione misure di prevenzione, era tornato a casa il 24 marzo, assieme alla moglie, anche lei magistrato. Il suo era stato il primo caso di infezione accertata al Palazzo di Giustizia milanese, dove nelle settimane successive ne sono emersi almeno una decina.

Ci sono stati anche due morti: un carabiniere e una cancelliera. Tanto che di recente lo stesso giudice ha parlato di “scelte infelici” da parte del Ministero della Giustizia nelle prime fasi dell’emergenza, perché la “sospensione di tutti i termini” dei procedimenti, arrivata con decreto l’8 marzo, avrebbe dovuto “essere adottata una decina di giorni prima” e così i tribunali si sarebbero svuotati per tempo.

Intanto, Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia dell’ospedale di Mantova e pioniere della cura col plasma, ha denunciato che “certa politica” avrebbe cercato di metterlo a tacere. “Io sono molto franco – ha detto in collegamento con un liceo di Maglie (Lecce) – c’era e c’è la volontà di nascondere questo trattamento. Se guardate i media si parla solo di vaccino, mentre il trattamento al plasma non costa quasi nulla. Una certa parte politica, la mia audizione al Senato è chiara, ha cercato di zittirmi. Ma con me, così, ottieni l’effetto contrario”.

E ancora: “Sono morte 34mila persone – ha aggiunto – ma i nostri risultati ci dicono che avremmo potuto salvarne almeno la metà”.

Ora si è partiti con le donazioni anche al Sacco seguendo le procedure “del Centro nazionale sangue e della Regione Lombardia”. Nel caso il plasma raccolto non fosse utilizzato subito per le cure, ha spiegato il professor Federici, potrà essere congelato e si potranno andare ad isolare “le immunoglobuline”. In attesa del vaccino, ha concluso, la cura col plasma iperimmune “potrà dare supporto alle persone infettate”.

(di Igor Greganti/ANSA)

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