Hong Kong arresta anche 15 enne, Usa votano sanzioni

La polizia di Hong Kong arresta a un manifestante durante una protesta.
La polizia di Hong Kong arresta a un manifestante durante una protesta. EPA/JEROME FAVRE

PECHINO. – Il caso di una ragazza di 15 anni è il primo banco di prova della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong imposta dalla Cina, tra le cui pene contro secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze esterne figura anche l’ergastolo: è tra la 10 persone arrestate nelle proteste del primo luglio per la sua violazione, parte dei circa 370 fermati dalla polizia soprattutto per manifestazione illegale.

Mentre nell’ex colonia si fanno i conti sulle incognite per l’indipendenza giudiziaria e la tutela delle libertà, come ha denunciato l’ordine degli avvocati, gli Usa hanno aumentato la pressione su Pechino dopo che il Congresso ha dato il via libera alle sanzioni contro i diritti violati di Hong Kong, puntando le banche che fanno affari coi funzionari cinesi coinvolti nella stretta sulla regione ad amministrazione speciale.

La Cina, sotto assedio, ha minacciato al contrario di optare le pesanti contromisure contro Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia per le ripetute intromissioni “in vicende interne”. Il monito verso Washington è contro le “leggi negative”, ha notato il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, a propósito del voto imminente del Congresso.  “Sollecitiamo gli Usa a capire la realtà della situazione, fermando le interferenze negli affari di Hong Kong, altrimenti prenderemo forti contromisure”.

Contro il governo di Londra, Zhao, in risposta all’annuncio sull’accelerazione verso la cittadinanza per i titolari di passaporto di nazionalità britannica d’oltremare (Bno) nell’ex colonia, ha minacciato ritorsioni. “Tutti i connazionali cinesi a Hong Kong, compresi quelli in possesso del Bno, sono cittadini cinesi. Prima della restituzione dei territori, la parte britannica aveva chiaramente promesso che non avrebbe dato il diritto di residenza ai titolari Bno”.

Il premier Boris Johnson ha deciso il cambio di passo dopo la stretta di Pechino, aprendo all’ipotesi di consentire ai 3 milioni di possessori potenziali del Bno di vivere e lavorare nel Regno Unito.

Oltre a Gran Bretagna e Stati Uniti, l’Australia ha aperto all’accoglienza: “Se chiedete se siamo pronti a intensificare e fornire supporto, la risposta è sì”, ha detto il premier Scott Morrison in conferenza stampa. “L’Australia la smetta di vagare ulteriormente sulla strada sbagliata”, ha intimato Zhao che ha difeso la legge definita come una “spada di Damocle” e una “porta a prova di ladro per Hong Kong”.

Intanto, Chan Kwok-ki, direttore generale dell’ex colonia, ha giurato nelle mani della governatrice Carrie Lam come segretario generale del Comitato per la tutela della sicurezza nazionale, uno degli organismi previsti per la supervisione.

A sorpresa, Nathan Law, tra i giovani attivisti pro democrazia più noti e co-fondatore con Joshua Wong di Demosisto, partito appena sciolto, è partito in risposta alla mossa si Pechino. “Ho già lasciato Hong Kong e continuerò il mio sostegno a livello internazionale”, ha scritto Law sui social media, rifiutandosi di indicare in quale Paese si trovi.  “In base al giudizio sui rischi, non devo rivelare molto attualmente della mia posizione e situazione personale”.

Da parte sua, Wong si è affidato anche oggi a un altro criptico salmo su Twitter: “Non ti ho comandato? Sii forte e coraggioso. Non aver paura, non scoraggiarti poiché il Signore tuo Dio sarà con te ovunque tu vada”.

Quanto accadrà ai 10 arrestati potrebbe definire i primi passi dell’applicazione della norma sulla sicurezza nazionale e le relative ripercussioni sulla società in generale.

Sarà importante capire, ad esempio, se la pubblica accusa opterà per le pene più dure o addirittura per il trasferimento dei primi casi sotto la temuta giurisdizione cinese.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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