La felicità

La ricerca della felicità è un’industria enorme. Varrebbe, secondo una stima della rivista Forbes, almeno undici miliardi di dollari annui in America del Nord – ciò solo in termini pubblicistici ed editoriali, attraverso seminari, corsi e libri che insegnerebbero le “tecniche” per essere felici. La valutazione non tiene conto, per esempio, delle spese che facciamo nella speranza di tirarci su il morale…

C’è però un problema. Non esiste un motivo concreto per pensare che gli esseri umani siano fatti per essere felici. L’evoluzione pare badare piuttosto alla sopravvivenza e alla capacità riproduttiva. Non sembriamo possedere l’abilità innata di afferrare in via permanente la felicità, forse perché la troppa contentezza potrebbe far abbassare la guardia contro le minacce esterne.

La felicità, quando arriva, lo fa a sprazzi e poi – più o meno per definizione – sfugge. Abd-al-Rahman III, Califfo di Córdoba nel 10° secolo, era uno degli uomini di maggior successo della sua epoca, colto, un abilissimo militare e – a livello più “terreno” – il padrone di due harem… Verso la fine dei suoi giorni decise di fare un bilancio della propria vita.

Scrisse: “Regno da più di cinquant’anni in vittoria e in pace, amato dai miei sudditi, temuto dai miei nemici e rispettato dai miei alleati. Nessuna benedizione pare mancare… Ho con diligenza contato i giorni di pura e genuina felicità: ammontano a quattordici”.

Rafael Euba, un professore di psichiatria al King’s College di Londra, scrive: “Ciascuna delle diverse sedi del cervello è associata a specifiche funzioni neurologiche e intellettuali, ma la felicità, un mero costrutto senza una base neurologica, non si trova nei tessuti cerebrali”.

Secondo Euba, se la natura, attraverso il processo evolutivo, ha mancato di eliminare la depressione – malgrado gli evidenti svantaggi in termini di sopravvivenza e di riproduzione – ciò è dovuto al fatto che essa gioca un ruolo utile in tempi di avversità, aiutando gli individui depressi a uscire da situazioni rischiose e senza speranza. Le “ruminazioni” depressive possono inoltre essere un utile strumento di problem solving.

Euba un po’ si scusa di dover comunicare che la felicità sia solo un “costrutto”, una nostra idea senza una realtà concreta, ma pensa debba consolare che l’insoddisfazione non sia un fallimento personale, non è un “guasto” da riparare. Gli umori incostanti ci proteggono e ci rendono umani.

James Hansen