Di come il Venezuela rimase senza benzina

Lavoratori di Pdvsa camminano nella raffineria di Amuay, in preda alle fiamme.

CARACAS. – Venezuela possiede le maggiori riserve petrolifere al mondo. E una delle maggiori raffinerie. Fino a 20 anni fa, la statale “Petroleos de Venezuela” (Pdvsa) amministrava 24 raffinerie che producevano circa 1,3 miliondi di barili di benzina, diesel, gasoil ed altri derivati. Era anche reputata la seconda holding più redditizia nel settore.

Ora Pdvsa amministra 11 raffinerie (6 nel paese, 3 negli Stati Uniti, e 2 nelle isole dei Caraibi). È scomparsa dalle liste delle più importanti aziende petrolifere e si trova ormai agli “sgoccioli” nella produzione di benzina. Come mai?

La sua storia ricorda quella della “gallina dalle uova d’oro”. Ed inizia nel 2002. Come una partita di pallone si avvicendano espulsioni e “falli” provocati dalla corruzione. Ma anche tanta, tanta negligenza e incompetenza.

Cartellino rosso

Hugo Chávez soffia il fischietto e licenza i big di Pdvsa.

“Offside! Fuorigioco! Signor Horacio Medina, grazie per i suoi servizi. Ma ora… Via, fuori! Signor Juan Fernandez, via”. Tuonava il presidente Hugo Chávez mentre dava aria al fischietto, come l’arbitro di una partita di pallone. Era la domenica del 7 aprile. Tutto accadeva durante la trasmissione domenicale a reti unificate di “Aló presidente”. Scandendo i nomi dei sette principali manager della holding petrolifera statale “Petroleos de Venezuela”, il capo dello Stato licenziava i membri del consiglio d’amministrazione dell’azienda. Ne mandava in pensione altri 12, quelli che si erano opposti alla nomina del nuovo presidente di Pdvsa. Lo consideravano una decisione “politica” fuori dai parametri di “meritocrazia” di quel tempo.

Chávez accusava i “big” di Pdvsa di “sabotaggio”, per aver deciso la manutenzione di una raffineria, a suo avviso “senza giustificazione”. Ne criticava, poi, gli “alti stipendi” e considerava eccessdivi i “costi operativi” dell’industria. Annunciava che d’allora in poi l’azienda sarebbe stata di “tutti i venezuelani” e non più della “élite” dirigenziale.

Il licenziamento “in tronco”, con “cartellino rosso”, scatenò lo sciopero generale nel Paese e fu all’origine del “golpe” che rimosse dal potere il presidente Chávez, ma solo per 48 ore. Lo smantellamento dell’organico dell’industria petrolifera nazionale proseguì, al suo ritorno, con l’esonero di circa 23 mila impiegati e lavoratori.

Due anni dopo, in un intervento al parlamento, Chávez riconobbe di aver provocato il conflitto per “purgare” l’industria.

“¡Sì – disse -, l’abbiamo provocato! Quando presi quel fischietto in un ‘Aló Presidente’ e cominciai a licenziare in tronco, stavo provocando la crisi. Quando nominai a Gastón Parra presidente e quel consiglio d’Amministrazione (di Pdvsa) stavo provocando la crisi. Loro risposero e si presentò il conflitto. E qui stiamo oggi. Quella crisi era necessaria”

Aiuti a mani piene

Dopo la “conquista” di Pdvsa, Chávez decise che l’azienda doveva essere al servizio della sua rivoluzione, che doveva promuovere il “socialismo petrolifero”. E inaugurò una politica che condusse alla nazionalizzazione di decine di ditte e progetti con soci privati. Soprattutto, diede inizio al finanziamento di ammortizzatori sociali, alcuni necessari e tanti altri solo fonte di corruzione, e agli aiuti internazionali.

Nel 2005, Chávez metteva in moto “Petrocaribe”, un’alleanza di cooperazione energetica con18 paesi dei Caraibi. L’iniziativa rientrava nel marco di un progetto politico molto più ambizioso: la “Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América” (Alba); progetto politico condiviso con il leader cubano Fidel Castro.

Per 14 anni, ovvero fino al 2018,  Pdvsa, è scritto nel portale della Holding, ha consegnato a Petrocaribe 356 milioni di barili di greggio con uno sconto tra il 50 e il 95 per cento. In altre parole, come sostengono gli esperti in materia, un vero e un regalo. Chi più se ne è beneficiato è stata Cuba, con circa 100 mila barili al giorno. È questo il costo -sostiene il governo- delle consulenze cubane in materia di sicurezza e dei medici e allenatori sportivi nei quartieri popolari. Altri paesi pagano invece le consegne di petrolio a buon mercato con prodotti agricoli.

Era la cosiddetta “diplomazia petrolifera”, con la quale Chávez offriva benefici energetici un po’ a tutti in centroamerica e parte del sudamerica. Nel 2011 garantiva all’Uruguay “tutto il petrolio, costi quel che costi, per i prossimi cent’anni” perché “Venezuela – sosteneva allora Chávez – ha un mare di petrolio e di gas da condividere con i fratelli di America Latina”. Negava che fosse un regalo e sosteneva che si trattava di una “collaborazione” per consulenze in materia agricole.

La generosità “bolivariana” arrivava pure agli Stati Uniti. Pdvsa, attraverso la filiale Citgo, dava contributi per 93 milioni di dollari in carburante a prezzi stracci; carburante destinato al riscaldamento di famiglia povere. Almeno in teoria, ne beneficiavano “più di 156mila case, comprese 252 tribù indigene e 234 rifugi per indigenti”. È quanto si afferma nel bilancio sociale e ambientale del 2010.

Missioni sociali

Nel paese, Pdvsa investiva ingenti somme nell’”ambito sociale”.  Patrocinava una quantità indeterminata di ammortizzatori sociali. Le cosiddette “missioni” popolari in materia di salute, educazione, alimentazione, case, attività agricole ed altre ancora.

Stando ai bilanci aziendali, solo nel 2010, PDVSA ha investito 20 miliardi 569 milioni nello “sviluppo sociale”. Per il 2011, la compagnia duplicava i contributi fiscale e sociali al governo, superando i 50 miliardi di dollari.

Per svolgere questa “nuova” attività di carattere sociale, Pdvsa crea decine di filiali: Ad esempio, Pdval (Pdvsa Alimentación), EPS (Empresas de Producción Social), Construpatria (Gran Misión Vivienda Venezuela), PDVSA Agrícola. E contribuisce con importanti somme di denaro, alle attività delle più svariate e inimmaginabili “Missioni”. Tra queste, “Misión Milagro”, “Misión Música”, “Misión Identidad”, “Misión Ciencia”, “Misión Robinson”, “Misión Árbol”, “Misión Guaicaipuro” e “Núcleos de Desarrollo Endógeno”. Il più delle volte una perdita di denaro e fonte di corruzione denunciata dai mass-media.

In caduta libera

Dopo il licenziamento di più di 20.000 persone- manager, ingegneri, tecnici altamente qualificati e operai – che rappresentavano anni di esperienza e competenza secondo l’esperto petrolifero José Toro Hardy, la statale Pdvsa cominciò ad assumere migliaia di lavoratori senza qualifica.

Il personale dell’azienda aumentava del 275 per cento, passando da 42.000 impiegati nel 1998 a 150.032 nel 2015 (Rapporto di gestione annuale di Pdvsa). A tutti si esigeva pubblicamente fedeltà alla Rivoluzione. Ovvero, di essere “rojos, rojitos” come reclamava l’ex ministro dell’Energia ed ex presidente di Pvdsa, Rafael Ramirez. Chiaro il riferimento al colore del partito di Chávez (Psuv).

La spesa sociale dell’industria petrolifera aumentava sempre di più, mentre quella in investimenti e manutenzione si riduceva nella stessa proporzione. Secondo i dati forniti dall’economista Alexander Guerriero in un webinar la settimana scorsa, nel 1999 Pdvsa investiva in manutenzione e ammodernamento circa 5 miliardi di dollari mentre 2 miliardi erano dirottati all’ambito sociale. Nel 2011, la spesa sociale arrivò a 35 miliardi di dollari contro 6 miliardi in investimenti. Dal 2011 ad oggi, i fondi investiti in infrastruttura superano le erogazioni agli ammortizzatori sociali. Ma le cifre sono addirittura inferiori al miliardo di dollari.

Una fuoriuscita di grezzo da una tubatura.

“Con 42.000 lavoratori Pdvsa produceva 3,4 milione de barili al giorno. Oggi secondo le cifre ufficiali con 52.000 persone la produzione è di 573 mila barili al giorno,  stando all’Opec”, precisa Toro Hardy, economista ed esperto in materia. Quindi, in media, ogni lavoratore prima produceva 80 barili di petrolio al giorno. Oggi, appena 11..

Con questa relazione tra numero di impiegati – produzione, il costo di un barile di petrolio, secondo un rapporto della Ong Transparencia Venezuela, cresce da 2,6 dollari nel 1998 a 11,47 dollari nel 2015. Allo stesso tempo, le trivelle dell’industria in funzionamento scendono da 189 nel 1998 a 71 nel 2016, a 51 nel 2017, a 48 nel 2018 e a 22 nel 2019. Lo precisa un documento della societá di consulenza Econométrica. I camion cisterna operativi, per trasporto di carburanti, si riducono da 1314 a 30.

“Non ci sono stati investimenti nella manutenzione delle infrastrutture. Il risultato è che oggi sono inoperanti. Tutte le raffinerie del Venezuela sono paralizzate”, denuncia Toro Hardy.

Percorso “difficile”

Mentre gli esperti ed esponenti dell’opposizione criticavano la carenza di mantenimento e le ingenti spese in costruzioni di case popolari, alimenti sussidiati, medici cubani, ad altre attività di Pdvsa, si moltiplicavano le denunce di incidenti sul lavoro, incendi in raffinerie, navi e pozzi, e di inquinamenti per fuoriuscite di petrolio.

Incidenti che il governo attribuisce sistematicamente a presunti sabotaggi dell’opposizione, a eventi naturali o fatti che rientrano dentro di una certa normalità. Secondo la “Gente del petrolio” dal 2003 al 2018 si sono verificati 564 incidenti nelle strutture di Pdvsa, dei quali 194 incidenti sul lavoro, 151 esplosioni o incendi; 100 versamenti di petrolio, 54 guasti operativi, 43 acquatici e 20 terrestri. Fra le tante fuoriuscite di petrolio, Brasile accusò l’anno scorso il Venezuela di essere aver contaminato con petrolio 136 spiagge lungo due mila kilometri di costa nel nord est del paese.

L’evento più emblematico di tutti si verificava il 25 agosto 2012, con l’incendio della Raffineria di Amuay nello stato Falcón. L’esplosione per una fuga di gas metano infiammava nove serbatoi di stoccaggio che arsero durante quattro giorni. L’incidente causò 48 morti, e 156 feriti.  Danneggió 1.600 case di un quartiere confinante.

“Lo show deve continuare, la vita segue”, disse Chávez allora visitando il luogo della tragedia, sorvolando sulle cause, mai chiarite dal governo. Per l’opposizione, l’esplosione mise a nudo i difetti, la negligenza e la “irresponsabilità” con che da anni era gestita l’industria L’immagine di Amuay in fiamme getta tutt’oggi un ombra indelebile sulla Pdvsa “chavista”.

Getti di corruzione 

Capitolo a parte merita la corruzione denunciata continuamente dall’opposizione e che negli ultimi anni è arrivata ai tribunali di Stati Uniti, Spagna, Svizzera, Andorra, nonché a quelli locali.

Rafael Ramírez, ex presidente di Pdvsa.

Nel 2017 la “Procuraduria Generale del la República”, espressione del potere politico,  accusava l’ex ministro del petrolio ed ex presidente di Pdvsa, Rafael Ramirez, considerato lo zar del petrolio, per peculato, legittimazione di capitale e associazione a delinquere per 4,8 miliardi di dollari. Reati commessi attraverso una fitta rete, più di 100, di compagnie fantasma.

Nel 2018, la “Procuraduria Generale del la República” accusó altri 38 alti funzionari di Pdvsa, tra cui gli ex presidenti della Holding Eulogio del Pino, Nelson Ramirez e Oswaldo Vargas.

Nel 2016, il Parlamento, dominato dall’opposizione, presentò un rapporto sulla corruzione di Pdvsa e responsabilizzava  Rafael Ramirez per danni stimati in 11 miliardi 271 milioni di dollari.

Benzina a gocce

Gli anni passano e le sei raffinerie del paese (Amuay, Bajo Grande e Cardón -del “Centro de Refinación de Paraguaná” – El Palito, Puerto La Cruz e San Roque), che producevano un milione 300 mil barili di benzina al giorno nel 1999, oggi solo ne  producono 40 mila. Quindi, un importante deficit di fronte a una domanda interna di 500 mila barili al giorno.

Le autorità smentiscono, ma la benzina scarseggia e nelle stazioni di servizio si formano file enorei di automonili. Il rifornimento di benzina diventa intermittente. Il Paese dipende dal ritmo delle importazioni che arrivano al paese e che diminuiscono per effetto delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti.

La realtà s’impone. Il paese è rimasto senza una goccia di benzina per alcune settimane.

“Siamo riusciti ad importare la benzina di cui il Paese ha bisogno. Durerà alcuni mesi. Non esiste impero che possa soffocare il  Venezuela”, afferma Maduro , attribuendo alle recenti sanzioni degli Stati Uniti la mancanza del prodotto.

Nel frattempo, le autorità tentano da diverse settimane di riparare le raffinerie con l’aiuto di tecnici di Iran arrivati al paese, stando a quanto pubblicato da alcuni mass-media.

“Sono riusciti a far funzionare alcuni impianti ma non quelli capaci di trasformare il grezzo pesante in benzina, Non ci sono riusciti”, assicurava Toro Hardy pochi giorni fa.

La raffineria di Cardon è tornata a produrre 49mila barili di benzina al giorno, ma in “maniera instabile”, rivela Ivan Freites, dirigente sindacale dell’opposizione. Mentre quella del Palito ne starebbe producendo 19 mila. Una decima parte del fabbisogno nazionale. Troppo poco per calmare la sete dei veicoli.

La poca benzina disponibile è venduta in due modalità: in “dollari”, con un prezzo di 0,50 dollari il litro  (105.000 bolivares), e in bolívares e sussidiata ( 5mila bolivares). Quest’ultima solo per turni secondo il numero della targa (una volta ogni cinque giorni) e dopo essersi registrarsi nel portale governativo “patria”. Giorni fa, il governo ha ripreso la gestione di 34 stazione di servizio (con benzina venduta in dollari) date in concessione a particolari.

Roberto Romanelli

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