Italiani impauriti, non consumano più, solo risparmio

Due signore guardano la vetrina di un negozio di abbigliamento.
Due signore guardano la vetrina di un negozio di abbigliamento. (ANSA)

ROMA. – É la paura l’eredità che il coronavirus ha lasciato tra gli italiani, radicata nei territorio e trasversale ai diversi gruppi sociali. Dopo l’emergenza sanitaria, il lockdown e le difficoltà economiche di gran parte del settore produttivo, il lento ritorno alla normalità – non ancora del tutto piena – non convince e non basta ad allontanare la sensazione di insicurezza e incertezza anche sull’inmediato futuro che dominano ormai la società.

Il 68% degli italiani ha infatti paura per la situazione economica della propria famiglia e la percentuale sale al 72% tra i millennial e le donne, sfiora il 75% nel Sud, supera il 76% tra gli imprenditori e arriva all’82,6% tra le persone con i redditi più bassi. Il quadro tutt’altro che rassicurante emerge dall’ultimo rapporto condotto dal Censis con Assogestioni “Il valore della diversità nelle scelte d’investimento prima e dopo il Covid-19”.

L’indagine parla di “biopaura”, come timore vero e proprio per la propria sopravvivenza, e inquietudine per la situazione sociale ed economica scaturita dalla pandemia. “Nella fase post-emergenza, la biopaura da contagio e la minaccia alla salute si saldano ai timori per le incerte prospettive economiche. La paura – si legge – diventa così il principio regolatore emotivo di questa nuova stagione”.

Nei comportamenti concreti, le nuove emozioni si sono tradotte e continuano a manifestarsi in una rinnovata propensione al risparmio e ad un vero e proprio boom della liquidità a disposizione nei portafogli. Secondo i dati raccolti, quasi il 40% degli italiani (tradizionalmente popolo di formiche) ha infatti incrementato il proprio tesoretto personale e familiare nel periodo del lockdown.

La percentuale sale al 49,1% tra i risparmiatori abituali. Del resto, nel periodo della quarantena sono stati 28 milioni i percettori di reddito le cui entrate non sono state intaccate (pensionati, dipendenti pubblici, lavoratori del settore privato non in Cassa integrazione o congedo parentale), pari al 71,2% del totale.

Il risparmio forzoso, spiegano Censis e Assogestioni, è quindi nato dalla continuità nelle retribuzioni da una parte e dal taglio nei consumi dall’altra, improntati all’estrema cautela.

Il risultato è che nei tre mesi più neri dell’epidemia, tra febbraio e aprile, la liquidità è aumentata di 34,4 miliardi di euro: una cifra quasi uguale, evidenzia il rapporto, al valore che l’Italia potrebbe attivare con il Mes. Risorse che si aggiungono ai 121 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva

accumulata negli ultimi tre anni, prima dell’esplosione dell’epidemia (+8,4% in termini reali nel triennio).

Il rapporto analizza quindi quali potrebbero esserne gli sbocchi, valutando le intenzioni di investimento delle famiglie. Sui titoli di Stato gli italiani si dividono praticamente in due, con poco meno della metà favorevoli a comprarli e un po’ più della metà contrario. A vincere è il timore per un debito pubblico che nel lungo periodo può generare rischi anche per i propri risparmi.

Buona invece la propensione all’acquisto di strumenti finanziari Esg (Environmental, Social, Governance), basati su criteri di investimento responsabile: il 52,3% degli italiani si dice interessato a investirvi (il 68,2% tra i laureati, il 70,2% tra i dirigenti e i quadri).

Una voglia di sostenibilità che oggi si lega al tema della tutela e promozione della salute, balzato in cima alle priorità delle persone con l’emergenza sanitaria.