Floyd disse 20 volte “I can’t breath” prima di morire

In questo frame tratto da un filmato ripreso da un passante e pubblicato dal New York Times, i momenti in cui un uomo muore soffocato.
In questo frame tratto da un filmato ripreso da un passante e pubblicato dal New York Times, i momenti in cui un George Floyd muore soffocato. (ANSA / New York Times)

WASHINGTON.  – “Mi stanno uccidendo, mi stanno uccidendo….”: la voce di George Floyd è ormai fioca, le forze lo stanno per abbandonare. Ma l’agente Derek Chauvin continua a tenergli premuto il ginocchio sul collo, mentre Big Floyd è riverso pancia a terra, bloccato sull’asfalto.

Per più di 20 volte afferma di non poter respirare, supplica “I can’t breath”. Ma il poliziotto non molla la presa e tenta di zittirlo: “Smettila di parlare, basta strillare, serve un sacco di ossigeno per parlare…”. Qualche secondo dopo il cuore di George smette di battere.

É la trascrizione del video ripreso dalla bodycam di uno degli agenti a consegnarci gli ultimi istanti di vita del 46enne afroamericano morto per soffocamento dopo essere stato fermato dalla polizia a Minneapolis. Un episodio che ha scatenato un’ondata senza precedenti di proteste antirazziste in America e in tutto il mondo.

Una scena a dir poco sconvolgente e agghiacciante, più di quanto fosse emerso finora, dettagliata in oltre 80 pagine consegnate al giudice da uno degli ex poliziotti coinvolti. Questo per tentare di dimostrare che lui con la morte di George proprio non c’entra, e che ha tentato più di una volta di evitare il peggio.

Si chiama Thomas Lane, era una recluta, ed insieme ad altri tre ex colleghi rischia 40 anni di carcere. Primo fra tutti Chauvin, il capo pattuglia e carnefice di Floyd, accusato di omicidio volontario, il cui ritratto appare ora ancor più spietato.

“Perché non lo giriamo signore?”, chiede a un certo punto Lane notando come Floyd fosse in serie difficoltà. Chauvin è categorico: “No, resta dov’è!”. Intanto si sente George, ormai con un filo di voce, rivolgersi alla madre morta qualche anno fa: “Ti voglio bene. Dì ai miei figli che gli voglio bene. Io sono morto”.

Quando arriva l’ambulanza è ormai troppo tardi. Era stata chiamata dagli agenti quando la bocca di George aveva cominciato a sanguinare, ma in ”codice 2” anziché in “codice 3” come si fa per i casi più gravi. Eppure, sempre dal video della bodycam, emerge come fin dall’inizio George, appena fermato dalla pattuglia, avesse lamentato di non stare bene, di avere problema respiratori e di aver paura di essere introdotto dentro la volante della polizia perché claustrofobico.

Un disagio probabilmente dovuto anche all’assunzione di qualche sostanza stupefacente, tanto che si sente dire uno degli agenti: “Ma sei fatto? Rilassati, stai bene, riesci a parlare. Respira profondamente”. Poi la decisione di gettarlo a terra.

Difficile che l’ex agente Lane vedrà ridimensionate le accuse di aver aiutato e favorito l’omicidio di Floyd, mosse anche all’altra ex recluta Alexander Kueng e all’ex poliziotto Tou Thao. Di fatto impassibili anche di fronte alle urla dei passanti: “Basta! Non vedete che non respira più? Pensate che sia normale?”. Appelli disperati rimasti inascoltati.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

Lascia un commento