Corte suprema Usa: “Metà Oklahoma riserva indiana”

Mappa dell'Oklahoma. La metá dello stato colorato in arancione dichiarato territorio indiano
Mappa dell'Oklahoma. La metá dello stato colorato in arancione dichiarato territorio indiano. (Ansalatina)

WASHINGTON.  – Metà dell’Oklahoma, compresa Tulsa, la seconda città più grande dello Stato, appartiene ai nativi americani e deve essere riconosciuta come parte della loro riserva, con l’effetto pratico che le tribù residenti non saranno più soggette alle leggi statali, dalla giustizia alle tasse.

Lo ha stabilito la Corte suprema Usa, che con le sue recenti sentenze su gay, aborto e dichiarazioni fiscali di Donald Trump continua a lasciare un segno sulla società americana.

Anche questa sentenza per certi versi è storica perché conferma la validità dei trattati ottocenteschi con cui il governo americano promise che le nuove terre in cui i nativi erano stati deportati forzatamente, attraverso il famigerato “Sentiero delle lacrime”, sarebbero appartenute loro per sempre.

Nella zona in questione, grande 12.140 km quadrati, vivono 1,8 milioni di persone, di cui circa il 15% sono nativi americani.

Una decisione sofferta, che ha spaccato la Corte (5 a 4). A scrivere la motivazione della maggioranza è stato Neil Gorsuch, il giudice conservatore nominato da Donald Trump, schieratosi con i quattro colleghi liberali. “Oggi ci viene chiesto se il territorio promesso dai trattati resta una riserva indiana ai fini dell’applicazione della legge federale. Dato che il Congresso non ha detto nulla di diverso, riteniamo che il governo debba tener fede alle sue parole”, ha scritto.

La decisione è stata presa affrontando il caso di un nativo, la cui pena per lo stupro di una bambina di quattro anni è stata annullata. Jimcy McGirt, ora 71enne, condannato nel 1997, non metteva in dubbio la propria colpevolezza ma sosteneva che solo le autorità federali erano legittimate a perseguirlo. D’ora in poi i membri delle tribù residenti in quest’area potranno essere indagati esclusivamente da procuratori federali e quelli già condannati nei tribunali statali avranno la possibilità di impugnare le sentenze.

Nell’opinione di minoranza, il presidente della Corte suprema Johns Roberts ha ammonito che la decisione destabilizzerà i tribunali statali: “La capacità dello Stato di perseguiré crimini gravi sarà minata e decenni di condanne del passato potrebbero essere cancellati”. Ma gli effetti, a suo avviso, potrebbero andare ben oltre la giustizia: “La decisione di oggi crea una significativa incertezza sul mantenimento dell’autorità statale su qualsiasi area che tocca gli affari degli Indiani, dalla destinazione del territorio alla tassazione, dalle leggi sulla famiglia a quelle sull’ambiente”.

Un’analisi del magazine The Atlantic rivela che alla fine dello scorso anno 1887 nativi americani erano in prigione per crimini commessi nell’area in questione ma che meno di uno su 10 casi si qualificherebbe per un nuovo processo federale.

A gettare acqua sul fuoco, comunque, sono stati gli stessi nativi. In un comunicato congiunto, le cinque tribu dell’Oklahoma (Cherokee, Chickasaw, Choctaw, Seminole e Muscogee) hanno espresso apprezzamento per la sentenza ma hanno promesso di lavorare con le autorità statali per concordare una giurisdizione condivisa sul territorio.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)