Referendum e pandemia

Referendum Costituzionale, si vota il 20 e 21 settembre

Un Referendum Costituzionale atipico. Lo è quello del 20 e 21 settembre. Gli italiani, dentro e fuori l’Italia, saranno chiamati alle urne nonostante le limitazioni imposte ovunque dalla presenza della Covid-19. E dal timore di una probabile seconda ondata di contagi.

Se in Europa la pandemia pare controllata e la rete sanitaria in condizioni di arginare e limitare la crescita dei contagi; altrove il panorama non appare altrettanto chiaro. Pensiamo all’America Meridionale dove cresce la diffusione della Covid-19 e i sistemi sanitari, in gran parte, precari sono stati sopraffatti dalla realtà

Come indicano gli appelli e le statistiche dell’OMS in America Latina la pandemia è ancora fuori controllo. Crescono i contagi e, purtroppo, i decessi. La rete sanitaria non riesce ad assistere tutti i malati. E in paesi come la Bolivia non si riesce neanche a dare sepoltura alle vittime che si susseguono con velocità allarmante. Una realtà drammatica che certamente non sfugge alla politica italiana. Detto ciò, sarà assai difficile che, presi dai problemi stringenti della quotidianità in tempo di “coronavirus”, gli aventi diritto al voto che vivono oltreoceano si preoccupino di esercitare quello che è un loro sacrosanto diritto. Sarà difficile nonostante esista la coscienza che l’approvazione del Referendum castigherà, sforbiciandolo di ben 6 elementi, il minuto drappello degli eletti all’estero.

Nel caso specifico del Venezuela, il Referendum si svolgerà in un Paese allo stremo: sommerso nel caos politico, colpito dal naufragio economico e castigato dalla diffusione della covid-19. Nonostante il loro sicuro impegno, sarà difficile per Ambasciata e Consolato riuscire ad assicurare il diritto di voto a chi vorrà esercitarlo. Gestire l’invio dei plichi elettorali, già complesso e delicato in una congiuntura normale, sarebbe ora pressoché impossibile.

Il Comites di Caracas propone per il Venezuela il voto telematico. Una richiesta che, da queste colonne, sosteniamo pienamente. Ci sembra però rischioso voler trasformare il Venezuela nel “Paese pilota” per mettere in atto questa procedura.

Il Paese, purtroppo, possiede una delle reti internet più insicure, meno veloci e più precarie dell’America Meridionale. Non è tutto. Se nella capitale il servizio elettrico altalenante condanna al buio, durante ore, interi quartieri, in provincia l’elettricità può restare assente anche per giorni. Tanti connazionali, quindi, non riuscirebbero a votare.

I risultati che emergerebbero dal voto telematico del Venezuela, qualora si promovesse la nazione a “Paese Pilota”, non rispecchierebbero la realtà. In altre parole, sarebbero inaffidabili perché inaffidabile è la rete “internet” nazionale.

Il voto telematico in Venezuela, coincidiamo con il Comites di Caracas, potrebbe rappresentare una valida alternativa al voto per posta, considerate le attuali circostanze. Esso potrebbe rappresentare un primo passo verso l’ammodernamento della modalità di voto. E potrebbe anche dare alcune indicazioni “tecniche” per renderlo maggiormente efficace e affidabile in futuro. Ma i risultati, in quanto a numero di elettori, non potranno essere presi in considerazione. In ogni caso, per analizzare con serietà la fattibilità del “voto telematico” all’estero sarebbero necessari non uno ma vari “Paesi Pilota”, distribuiti nei vari continenti e, perché sia un vero test dovrà soprattutto essere esercitato in circostanze normali e non compromesse dalla pandemia, da crisi istituzionali o crack economici.

Mauro Bafile