Onde gravitazionali svelano la nascita di nuovi buchi neri

Rappresentazione artistica della fusione dei due buchi neri (fonte: N. Fischer, H. Pfeiffer, A. Buonanno (Max Planck Institute for Gravitational Physics), Simulating eXtreme Spacetimes (SXS) Collaboration)
Rappresentazione artistica della fusione dei due buchi neri (fonte: N. Fischer, H. Pfeiffer, A. Buonanno (Max Planck Institute for Gravitational Physics), Simulating eXtreme Spacetimes (SXS) Collaboration)

ROMA. – Osservata la nascita di un buco nero mai visto prima e inaspettato: di massa intermedia, è l’anello mancante nell’evoluzione di questi oggetti cosmici, a lungo sfuggito agli astronomi. Nato dalla fusione di due buchi neri più piccoli, i fisici lo hanno scoperto grazie al segnale di onde gravitazionali catturato dai rivelatori Advanced Virgo, dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo (Ego) e al quale l’Italia collabora con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), e dai due interferometri gemelli di Advanced Ligo, negli Usa.

La scoperta è pubblicata in due ricerche sulle riviste Physical Review Letters e Astrophysical Journal Letters. Il buco nero ha la massa pari a 142 volte quella del Sole ed è nato dalla fusione di due buchi neri di 66 e 85 masse solari, intercettata dalle onde gravitazionali, increspature nel tessuto dello spazio-tempo, prodotte nei momenti finali della fusione. Il segnale, chiamato GW190521, era stata rivelato il 21 maggio 2019.

“Le osservazioni di Virgo e Ligo stanno facendo luce sull’universo oscuro e stanno definendo un nuovo paesaggio cosmico e ancora una volta annunciamo una scoperta senza precedenti”, osserva Giovanni Losurdo, responsabile della collaborazione internazionale Virgo.

Anche per Marica Branchesi, astronoma e fisica astroparticellare del Gran Sasso Science Institute (Gssi) dell’Aquila, “l’Universo ci sorprende ancora attraverso le onde gravitazionali: una nuova scoperta al limite dei modelli teorici che apre nuovi enigmi e scenari”.

Il segnale è molto complesso, spiega Viviana Fafone, dell’Università e della Sezione Infn di Roma Tor Vergata e responsabile nazionale della Collaborazione Virgo, “ed è stato osservato solo per un breve periodo: circa 0,1 secondi”. Tuttavia, aggiunge “il breve “cinguettio” dell’onda ha rivelato una grande quantità di informazioni sulle diverse fasi di questa fusione, come le masse da record dei buchi neri coinvolti”.

I fisici hanno inoltre dedotto che almeno uno dei buchi neri iniziali ruotava molto rapidamente, rafforzando l’ipotesi che i due buchi neri primari si siano formati e vivessero in un ambiente cosmico molto instabile e affollato, come ammassi densi di stelle.

L’aspetto cruciale che ha attirato l’attenzione degli astrofisici è che il buco nero risultante dalla fusione appartiene alla classe dei “buchi neri di massa intermedia”, la cui massa è compresa tra 100 e centinaia di migliaia di volte quella del Sole.

L’interesse per questa popolazione di buchi neri è legato a uno dei puzzle più affascinanti e stimolanti per astrofisici e cosmologi: come si formano i buchi neri supermassicci, ossia giganti milioni di volte più pesanti del Sole, che spesso si trovano al centro delle galassie. Fra le ipotesi in campo vi è che nascano proprio da buchi neri di massa intermedia e per questo la scoperta apre una nuova ‘finestra’ sulla formazione di questi oggetti cosmici.

“Abbiamo cercato a lungo un buco nero di massa intermedia per colmare il divario tra i buchi neri di massa stellare e quelli supermassicci – dice Christopher Berry, della Northwestern University – ora abbiamo la prova che questi oggetti esistono”.

(di Monica Nardone/ANSA)