Addio a Ruth Bader Ginsburg, ora sfida in Corte Suprema

Fiori, candele e messaggi in ricordo di Ruth Bader Ginsburg, davanti all'entrata del palazzo della Corte Suprema
Fiori, candele e messaggi in ricordo di Ruth Bader Ginsburg, davanti all'entrata del palazzo della Corte Suprema. EPA/MICHAEL REYNOLDS

NEW YORK. – Sembrava immortale, anche e soprattutto a lei stessa. Aveva superato operazioni per cancro ai polmoni, radiazioni per un tumore al pancreas, tutto nel corso degli ultimi due anni. Prima, nel 2009, l’ operazione per il cancro a pancreas allo stadio iniziale e dieci anni prima per un tumore al colon.

Ma alla fine il ‘generale C’ ha avuto la meglio sulla giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg: ‘The Notorious R.B.G’, come era chiamata dai fan che la identificavano con una icona rap, è morta a 87 anni.

La seconda donna alla Corte Suprema dopo Sandra Day O’Connor, protagonista del documentario candidato agli Oscar nel 2018 “RBG” di Betsey West e Julie Cohen, era la decana dell’ala liberal della Corte, ridotta a questo punto a solo tre membri: una corsa in salita per difendere conquiste di decenni in materia di diritti civili, non solo per donne, gay, ‘affirmative action’.

Lei aveva ripetutamente giurato che sarebbe rimasta al suo posto fintanto che la salute glielo avesse permesso, ma la serie di disavventure mediche avevano creato preoccupazione nel partito democratico e sollevato in generale dubbi sull’opportunità di avere giudici a quel livello di potere con un mandato a vita. Una cosa che dovrebbe preoccupare l’altro giudice liberal Stephen Breyer e il superconservatore Clarence Thomas.

Nell’arco di due anni, il presidente Donald Trump è riuscito a nominare due membri della Corte Suprema, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh. L’ultimo presidente capace di nominare due giudici nel suo primo mandato fu Richard Nixon creando una maggioranza di conservatori che ha tenuto fino a oggi.

La Ginsburg fu scelta nel 1993 da Bill Clinton, la prima democratica dal 1997, quando Lyndon Johnson aveva nominato Thurgood Marshall. Nata a Brooklyn nel 1933, aveva studiato legge, già moglie e madre, a Harvard, una delle nove donne in una classe di 500 uomini, poi alla Columbia.

Negli anni Settanta, come direttrice del Women’s Rights Project della organizzazione libertaria American Civil Liberties Union, aveva dibattuto davanti alla Corte una serie di casi che avevano creato le protezioni istituzionali contro la discriminazione sessuale: una strategia legale che aveva invitato a paralleli con quelli del giudice Marshall sul fronte delle battaglie per i diritti civili dei neri. Tra le sue tattiche, l’uso della parola “genere” quando altri usavano “sesso”, parola che, a suo avviso, confondeva i giudici.

Durante l’amministrazione Obama, la Ginsburg aveva respinto gli appelli dei liberal a dimettersi in modo che il presidente avesse la possibilità di nominare un successore “finché c’era tempo”. “Ci sarà un altro presidente democratico”, aveva detto Ruth pensando a Hillary Clinton.

Donald Trump, eletto invece della ex First Lady e Segretario di Stato, aveva liquidato la giudice progressista come una “che non ci sta più con la testa” dopo che Ruth lo aveva criticato in una serie di interviste prima dell’elezione, affermando che, se il tycoon avesse conquistato la Casa Bianca, si sarebbe trasferita in Nuova Zelanda.

(di Alessandra Baldini/ANSA)