Governo alla prova del dopo-voto, nodi rimpasto e Mes

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte mentre vota per il referendum.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte mentre vota per il referendum.. ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – Non si vota sul governo, ripete ancora il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Ma sul governo potrebbe impattare la chiamata alle urne degli italiani per decidere se tagliare 345 parlamentari e per eleggere sette presidenti di Regione. Perché quel responso peserà, questo è certo, sui partiti di maggioranza. E nei partiti corre da settimane la parola “rimpasto”: si ipotizza una crisi pilotata per registrare i nuovi rapporti di forza, un Conte ter, l’ingresso nell’esecutivo di Nicola Zingaretti, il ritorno delle figure dei vicepremier ad affiancare il presidente del Consiglio.

Tutti scenari smentiti alla vigilia da Zingaretti, Luigi Di Maio, Matteo Renzi, ma da misurare alla prova del voto. Giuseppe Conte nega di voler declinare un rito “vecchio” come un cambio di squadra: il governo deve continuare a lavorare sul Recovery fund – è il messaggio – perché da quello sarà giudicato.

Ma in nome del Recovery il vicesegretario Pd Andrea Orlando già invoca un tagliando, un nuovo assetto per il governo. E a monte del Recovery il leader Pd chiede al premier una decisione “in fretta” sul Mes. Che anche oggi Gualtieri definisce “un risparmio”.

Se Zingaretti vincerà nelle urne – dopo una battaglia che rivendica di aver combattuto in solitaria, con gli alleati di governo a far da avversari – passerà all’incasso sul Mes, i decreti sicurezza, la legge elettorale. E, secondo gli auspici di qualche dirigente Dem, forse anche il rimpasto. Più difficili da prevedere sono gli esiti di una sconfitta per il Pd e i partiti di maggioranza.

I Dem e Leu lottano per confermare al centrosinistra regioni come la Toscana, le Marche, la Puglia: una vittoria rafforzerebbe Zingaretti, una sconfitta potrebbe aprire la via alla richiesta di un congresso anticipato da parte di quella minoranza che già sostiene Stefano Bonaccini come leader del futuro. Il M5s non può più rinviare né la battaglia per la leadership negli Stati generali, né la richiesta degli alleati di dire Sì al Mes: gestire un rimpasto in una fase del genere potrebbe essere complicato e anche la spinta a un cambio di linea sul fondo Salva Stati potrebbe cozzare con il rischio di una scissione di una pattuglia di pentastellati irriducibili.

Italia viva, infine, si pesa per la prima volta nelle urne, con possibili contraccolpi sul progetto renziano di un “grande partito popolare”. Alle possibili ricadute interne ai partiti, si aggiunge la pressione dall’esterno dell’opposizione. “Se il centrodestra vince, Conte potrebbe non dimettersi ma il presidente della Repubblica una riflessione dovrebbe farla”, va ripetendo dal centrodestra la leader di Fdi Giorgia Meloni, che al contrario del leghista Matteo Salvini ha deciso di caricare il voto di un significato nazionale.

Le conseguenze sarebbero pesanti, ha sostenuto il leghista Giancarlo Giorgetti, se vincesse il No al referendum sul taglio degli eletti, che non solo smentirebbe quanto deciso dal Parlamento ma contraddirebbe anche la linea del Sì sposata da M5s e Pd. Ma su questo punto, la leader di Fdi ha scelto di non ha cavalcare il No.

Nell’attesa del responso si fanno e disfano scenari, anche se i leader di maggioranza si affannano a respingere prospettive fosche, Di Maio manda messaggi d’intesa a Zingaretti e Renzi nega possibili contraccolpi sulla premiership di Conte.

Lui, il premier, non è sceso sul ring delle regionali: si è limitato a dichiarare il suo voto per il Sì al referendum e, votando oggi, a dire che “la partecipazione è auspicabile”. Ma sa bene che osservata speciale è la rossa Toscana. Una sconfitta lì, osserva più di un dirigente Dem, avrebbe sul partito e sull’esecutivo ripercussioni imprevedibili (in uno spettro che potrebbe andare dalle dimissioni del segretario alla crisi di governo).

Zingaretti si mostra concentrato sulla vittoria invocando il voto “utile” degli elettori pentastellati e renziani: è tutto quel che conta, a urne aperte. Dopo, si aprirà il discorso sul governo. Quella riflessione invocata da Orlando, ma anche dal renziano Ettore Rosato e che dalle fila M5s si dicono pronti ad affrontare. Perché quasi nessuno scommette su un ritorno alle urne (soprattutto se passerà il taglio dei parlamentari) o un esecutivo tecnico.

Ma da ottobre entra nel vivo la partita della ripresa economica e del Recovery fund: su quello, ha ammesso Conte, l’esecutivo sarà giudicato. Per iniziare, mette subito a verbale il Pd, bisogna prendere una decisione sul Mes e smetterla di governare “da avversari”.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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