Cei: “La Chiesa italiana al servizio della ripresa nel dopo-Covid”

Papa Francesco durante la Via Crucis in una Piazza San Pietro vuota.
Papa Francesco durante la Via Crucis in una Piazza San Pietro vuota nella la Pasqua 2020. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

ROMA. – Non sarà ancora un’esplicita apertura alla celebrazione di un Sinodo della Chiesa italiana, su cui il dibattito si era interrotto con l’arrivo della pandemia, ma le parole del cardinale presidente Gualtiero Bassetti in apertura del Consiglio Cei ci vanno molto vicino.

“Forse, proprio le celebrazioni senza la presenza del popolo ci hanno fatto sentire con più forza la ricchezza di carismi e ministeri che anima le nostre comunità e rende tale la Chiesa. Questa stagione ci impegna a far crescere il senso di appartenenza e di corresponsabilità, dando tempo al riconoscimento, all’ascolto e alla stima dell’altro, arrivando ad assumere in maniera concorde e convinta scelte condivise”, dice il porporato, aggiungendo che “Papa Francesco, in occasione di una nostra Assemblea generale di qualche anno fa (2017, ndr), ci ricordava che il rinnovamento della nostra pastorale ci richiede un respiro e un passo sinodale”.

“Sentiamo la responsabilità di affrontare strade nuove, lungo le quali ridisegnare il volto della nostra presenza ecclesiale”, spiega Bassetti. “Si tratta di prendersi a cuore le persone – aggiunge -, la loro dignità, la casa comune, il creato; di curare e custodire le relazioni, di coltivare e alimentare il dinamismo della comunione, che vive di incontro e di reale condivisione; di tessere con convinzione e gratuità una rete di alleanze sociali per promuovere insieme il bene comune, di ciascuno e di tutti”.

Lo sguardo del presidente Cei nell’introduzione al ‘parlamentino’ dei vescovi è tutto sugli effetti del Covid-19, sul contributo dato dalla Chiesa e su quella che sarà la “ripresa”. “Non fatichiamo a intuire che il nostro contributo alla ripresa ha la forma di un annuncio essenziale, radicato nel Crocifisso Risorto, che rimane l’unica vera novità che abbiamo da offrire al Paese”, osserva.

Un annuncio “lontano dalla tentazione di ridurre il Cristianesimo a una serie di princìpi, a una morale o a uno spiritualismo disincarnato”; un annuncio “che muove da un ascolto paziente, fino a lasciarsi interrogare e coinvolgere a fondo da quello che accade, sviluppando in noi un’umile comprensione e una solidale compassione per le persone ferite”.

Un annuncio, insomma, “che risponde a responsabilità educative, passa dalla celebrazione dei sacramenti e si concretizza in stili di vita e in segni visibili di servizio, di carità e giustizia, che ridonano speranza e rendono fraterna l’esistenza”. E per Bassetti, “a indebolirci non sono mai state le prove, ma le nostre tiepidezze e infedeltà, la mondanità spirituale che ci allontana da una vita evangelica di povertà e di disponibilità, portandoci a pascere noi stessi invece di quanti ci sono affidati…”.

La prospettiva, quindi, proprio come conseguenza della pandemia, è di un profondo rinnovamento. “Come Pastori siamo consapevoli di dover ripensare la forma dell’esperienza della fede, il nostro stesso ministero e, più in generale, la vita delle nostre comunità”.

“I mesi imprevedibili e sconvolgenti da cui veniamo ci hanno consegnato alcune immagini, destinate a fissarsi in maniera indelebile nella memoria collettiva”, ricorda Bassetti, che elenca “i reparti ospedalieri trasformati in terapie intensive. La vita esposta a criteri di selezione e di scarto. L’isolamento che ha privato di affetti e conforti religiosi nel passaggio decisivo. Le bare anonime, caricate su camion militari. Le restrizioni delle libertà, le attività sospese, i tradizionali luoghi d’incontro deserti. Un Uomo affaticato e solo, che sale la china sotto la pioggia, e poi benedice una Piazza vuota in cui, significativamente, l’umanità intera si è riconosciuta presente”.

Secondo il porporato “questi fotogrammi, carichi di forza evocativa, ci costringono a mantenere vivo lo sguardo su ciò che abbiamo vissuto nel far fronte alla pandemia; nel contempo, ci testimoniano che davvero ‘nulla sarà come prima’”. Del resto, “come avverte l’Arcivescovo di Milano, ‘tanto soffrire, tanto morire, tutto sarebbe sperperato se tornassimo alla vita di sempre, con la stoltezza di chi dimentica il dramma e il messaggio che la sapienza cristiana ne riceve'”.

(di Fausto Gasparroni/ANSA)

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