India: 1.100 morti al giorno, ma riapre Taj Mahal

Un dottore indiano coperto con indumentaria protettiva para a bambini nel centro di attenzione del Covid-19 Hospital in un ospedale a Nuova Delhi.
Un dottore indiano coperto con indumenti protettivi con dei bambini nel centro di attenzione del Covid-19 in un ospedale a Nuova Delhi. EPA//HARISH TYAGI

NEW DELHI.  – Dopo sei mesi di chiusura, la più lunga nella sua storia, ha riaperto ieri il Taj Mahal, monumento di Agra simbolo dell’India. Con regole ferree: 5000 visitatori ammessi al giorno, un quarto del “normale”, tutti prenotati, tutti con obbligo di mascherina; vietate le foto di gruppo, ammessi solo i selfie individuali.

Ma il mausoleo di marmo bianco nel suo “primo giorno” è rimasto deserto; i visitatori sono stati qualche centinaio, tutti indiani, perché il paese è chiuso al turismo internazionale e ammette gli stranieri solo con visto di lavoro.

E gli indiani sono, comprensibilmente, spaventati: l’India conta infatti oltre cinque milioni trecentomila infezioni, con quasi centomila nuovi casi al giorno, e con un record spaventoso di morti: 1.100 nelle ultime 24 ore, una soglia già superata il 10 settembre.

Il governo insiste nel ritorno alla vita pre-Covid: oltre al Taj, che si trova in Uttar Pradesh, il quinto stato più colpito, riaprono tutti gli altri monumenti nazionali, le metropolitane sono ripartite, i bambini torneranno a scuola dalla settimana prossima. Harsh Vardhan, ministro alla Salute, sottolinea il basso tasso di infezione, se rapportato al miliardo 350 milioni di indiani, l’alta percentuale di guarigioni, la scarsa mortalità. Ma i dati delle ultime settimane mostrano una curva vertiginosa, che non accenna a scendere.

A metà marzo, quando il mausoleo venne chiuso, il paese aveva poche decine di positivi e ancora nessun decesso. Ci sono voluti quasi cinque mesi per il primo milione di casi; poi, in un solo mese e mezzo, se ne sono aggiunti quattro milioni; infine, l’ultimo balzo, un milione di nuovi positivi in undici giorni.

Il virus, prima circoscritto alle megalopoli, si è sparso nelle campagne, dove vive il 65% della popolazione. Nell’India rurale la struttura sanitaria è inesistente, con un ambulatorio in media ogni 30 km, spesso senza medico, senza letti e senza reparti di terapia intensiva.

E i lavoratori del sistema Asha, la rete nazionale degli operatori sanitari di base, denunciano la mancanza totale di consapevolezza sulle precauzioni per rallentare la corsa del Coronavirus.

(di Rita Cenni/ANSA)

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