Lukashenko sfida la piazza e giura in segreto

Il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, in una foto d'archivio.
Il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, in una foto d'archivio.

MOSCA. – Centro di Minsk chiuso al traffico, palazzo presidenziale circondato dalle forze dell’ordine e in un amen Alexander Lukashenko si è insediato per la sesta volta alla guida della Bielorussia, con una cerimonia di inaugurazione lampo tenuta segreta fino all’ultimo momento.

“Siamo l’unico Paese dove una rivoluzione colorata, che ormai segue tecniche precise, non ha avuto successo”, ha detto Lukashenko ai pochi intimi ammessi alla celebrazione. L’opposizione invece è insorta e ha promesso d’ora in poi “proteste a oltranza”, con non meglio precisate “azioni di disobbedienza”.

A parlare chiaro, con toni molto duri, è stata Svetlana Tikhanovskaya, l’ex candidata alle presidenziali divenuta il simbolo della rivoluzione bielorussa. “L’inaugurazione è una farsa, Lukashenko da oggi per noi è andato in pensione”, ha tuonato. “Le sue direttive alle forze dell’ordine non sono più legittime e non sono eseguibili. Io, Svetlana Tikhanovskaya, sono l’unico leader eletto dal popolo bielorusso e il nostro compito ora è costruire insieme una nuova Bielorussia”, ha dichiarato.

Il punto è dirimente. Perché in effetti fino adesso Lukashenko era il presidente in carica in virtù del suo quinto mandato. Ma d’ora in poi entra in un altro universo. E non a caso il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, ha fatto sapere che la Germania non lo riconoscerà poiché la sua rielezione manca di “legittimità democratica”. Il fatto che Lukashenko abbia dovuto giurare in una cerimonia in gran segreto “è molto eloquente”, ha evidenziato Seibert.

Ma a intervenire sulla faccenda è stato anche Sergio Mattarella nel corso di un colloquio al Quirinale con il presidente polacco Andrzej Duda, il quale ha espresso la preoccupazione di Varsavia per la situazione in Bielorussia.

Mattarella ha definito “gravi e inaccettabili” le repressioni delle pacifiche dimostrazioni di dissenso dei cittadini bielorussi e ha auspicato l’impegno della comunità internazionale per realizzare le condizioni di libere e regolari elezioni in cui il popolo possa decidere del proprio futuro senza interferenze esterne. Ma a Minsk si sono subito verificati “diversi arresti” ai danni degli studenti, che hanno reagito alla cerimonia segreta con le consuete catene di solidarietà, subito spezzate dagli agenti di polizia.

Mosca ha trattato la notizia con un certo distacco, bollandola (pilatescamente) come una questione di “affari interni” di Minsk. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, è rimasto un po’ sorpreso quando gli è stato chiesto se fossero in arrivo le congratulazioni di Vladimir Putin – “sì, forse il protocollo lo prevede, ma non so nulla al riguardo” – salvo precisare che lo zar si era già espresso all’indomani delle elezioni.

Poi ha aggiunto che al momento non c’è in programa alcuna visita di Putin in Bielorussia. Detto questo, l’appoggio della Russia – seppur tiepido – c’è eccome. Basti pensare che in questi giorni sono in corso le esercitazioni militari congiunte “Fratellanza Slava” e Mosca ha inviato soldati e mezzi bellici – guarda caso la cerimonia di giuramento ha avuto luogo proprio in questo contesto.

Tikhanovskaya, dal canto suo, ha voluto spronare i suoi sostenitori assicurando che la Bielorussia non è sola in questa lotta. “Due giorni fa ho terminato la mia visita a Bruxelles. I Paesi europei sostengono il popolo bielorusso nella richiesta di fermare la violenza, liberare i prigionieri politici e condurre nuove elezioni, oneste e trasparenti”, ha dichiarato. “Sono pronti a fornire un aiuto reale, ci sono seri pacchetti di investimento previsti per la Bielorussia dopo la vittoria della democrazia. E insieme vinceremo”. Insomma, non solo parole. Ma su questo punto il cammino pare ancora lungo e impervio.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)

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