Usa trattano in segreto con Assad sugli ostaggi

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo.

BEIRUT.  – Con l’obiettivo di liberare ostaggi statunitensi in Medio Oriente a due settimane dalle attese elezioni presidenziali americane, l’amministrazione guidata da Donald Trump appare tenacemente impegnata in negoziati con attori vicini all’Iran. E questo in Yemen, in Libano e persino in Siria, con cui da dieci anni Washington non parla in via ufficiale.

Secondo la stampa statunitense, Kash Patel, vice asistente di Trump e principale funzionario dell’antiterrorismo della Casa Bianca, si è recato di persona a Damasco nei mesi scorsi per colloqui con le autorità siriane, i primi di alto livello dal 2012, nel tentativo di ottenere il rilascio di almeno due americani detenuti dal governo siriano: lo psicologo Majd Kamalmaz e il giornalista Austin Tice.

Proprio Trump aveva inviato una lettera personale ad Assad nei mesi scorsi invitandolo a un negoziato. E secondo diverse fonti, da Damasco avevano chiesto come contropartita il ritiro delle truppe americane dal nord-est siriano, ricco di risorse energetiche e confinante con l’Iraq. Per aumentare la pressione negoziale, Washington aveva poi varato un nuovo pacchetto di sanzioni dirette contro Damasco, finendo per acuire la già drammatica situazione di un paese in guerra da dieci anni.

Ma intanto nei giorni scorsi la Casa Bianca aveva festeggiato il rientro in patria di due cittadini Usa da anni detenuti dagli insorti Huthi yemeniti, vicini all’Iran. Il negoziato tra Stati Uniti e Yemen era stato parallelo alla mediazione Onu tra le parti coinvolte nella guerra in Yemen: gli Huthi da una parte e le forze lealiste vicine all’Arabia Saudita. Proprio Riad aveva subito forti pressioni da parte di Washington perché facilitasse il buon esito della trattativa yemenita.

E in questa intensa fase pre-elettorale americana, anche l’altro alleato degli Usa in Medio Oriente, Israele, era stato chiamato a rispondere alle richieste della Casa Bianca per sbloccare un impasse negoziale con il Libano, dominato politicamente e militarmente dagli Hezbollah filo-iraniani. Nei giorni scorsi sono cominciati così inediti colloqui tra Israele e Libano, mediati dagli Usa, per la delimitazione delle frontiere marittime.

Il dossier, discusso da 10 anni proprio con la continua mediazione di Washington, è visto con particolare urgenza dai leader libanesi, interessati a spartirsi la lucrosa torta dei ricavi per lo sfruttamento delle risorse energetiche a largo delle loro coste meridionali.

In questa girandola di strette di mano tra rivali, emerge la figura del generale Abbas Ibrahim, capo dell’intelligence libanese e da anni deus ex machina di ogni trattativa sotto il tavolo tra attori nemici. Ibrahim ha ammesso oggi di avere ottimi rapporti “di lavoro” con gli Stati Uniti e non ha mai nascosto di avere un canale diretto con i vertici di Hezbollah.

In Medio Oriente, ogni volta che ci sono ostaggi da liberare, le parti si rivolgono agli uffici di Ibrahim, che solo un anno fa aveva svolto un ruolo cruciale nel rilascio, dalla Siria, di un altro ostaggio americano. Nei giorni scorsi Ibrahim era a Washington.

E stasera il segretario di Stato americano Mike Pompeo e il capo di Stato libanese Michel Aoun hanno avuto un colloquio telefonico durante il quale sono stati annunciati nuovi aiuti americani al Libano.

(di Lorenzo Trombetta/ANSA)

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