Biden lavora alla squadra, scelto il Segretario di Stato

Nella foto d'archivio Barack Obama e Joe Biden presentano il candidato a presiedere la Corte Suprema Merrick Garland
Nella foto d'archivio Barack Obama e Joe Biden presentano il candidato a presiedere la Corte Suprema Merrick Garland. EPA/SHAWN THEW

NEW YORK. – Avanti tutta. Joe Biden preme sull’acceleratore e continua a lavorare alla sua squadra di governo nonostante la transizione non sia ancora stata avviata. Dopo la scelta del segretario al Tesoro, il presidente eletto avrebbe sciolto le riserve per un’altra posizione chiave, quella del segretario di Stato chiamato a rilanciare l’America sul palcoscenico internazionale.

Secondo indiscrezioni non si tratterebbe di Susan Rice, l’ex consigliera alla sicurezza nazionale di Barack Obama ed ex ambasciatrice americana all’Onu. Biden le avrebbe preferito un altro nome mostrando così di non voler avviare la sua presidenza all’insegna di uno scontro con i repubblicani.

Il partito conservatore non ha mai nascosto la sua contrarietà a Rice, assicurando che avrebbe dato battaglia in caso di una sua nomina. L’ex consigliera di Obama è infatti ritenuta dai repubblicani responsabile per l’iniziale insoddisfacente risposta dell’amministrazione agli attacchi di Bengasi.

Biden stringe il cerchio anche sul ministro di Giustizia. Oltre al governatore di New York Andrew Cuomo e a Sally Yates, l’ex ministro della Giustizia ad interim licenziato da Trump per insubordinazione, nella rosa dei candidati è spuntato il nome di Merrick Garland, nominato nel 2016 da Obama alla Corte Suprema ma bocciato dai repubblicani, che gli hanno negato la conferma senza nemmeno concedergli un’audizione.

Al ministro della Giustizia spetterà tra l’altro decidere se perseguire o meno Donald Trump una volta fuori dalla Casa Bianca: una decisione difficile e senza precedenti che rischia di dividere ancora di più un’America già spaccata dal voto. Trump potrebbe aggirare un’azione federale nel caso in cui decidesse di auto concedersi la grazia oppure se fosse Biden a concederla, come avvenuto con Richard Nixon. Questo però non metterebbe al riparo il presidente da possibili azioni a livello statale, con il procuratore di New York in prima linea contro Trump e il suo impero alberghiero.

Nonostante continui a lavorare senza sosta, Biden inizia comunque a risentire della mancanza della transizione che sottrae al presidente eletto non solo importanti briefing ma anche i fondi necessari alle sue operazioni. Da qui l’appello dell’ex vicepresidente ai suoi sostenitori ad effettuare donazioni. Un appello non accolto positivamente da tutti: molti criticano la richiesta giunta in un momento economico difficile e mentre milioni di americani sono in fila per il cibo davanti a chiese e centri di distribuzione.

L’altro grande nodo è quello della sicurezza delle informazioni sensibili: senza transizione infatti non vengono assicurate a Biden e Kamala Harris quelle tutele sulle email e i documenti elettronici che spetterebbero a un presidente e un vicepresidente eletto.

La situazione sta esasperando il Partito democratico, che punta il dito contro Emily Murphy, la responsabile della General Services Administration incaricata di firmare i risultati del voto e certificare “l’apparente candidato che ha vinto”. Una firma che apre la strada alla transizione e che tuttavia la Murphy non sembra intenzionata, almeno per il momento, ad apporre.

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