Trump scarica Sidney, l’avvocatessa cospirazionista

Sidney Powell e Robert Giuliani durante la conferenza stampa.
Sidney Powell e Robert Giuliani durante la conferenza stampa. (

WASHINGTON. – “Too crazy”, troppo fuori perfino per Donald Trump. I media americani non fanno sconti a Sidney Powell, così come lo staff legale del presidente uscente degli Stati Uniti che l’ha silurata in quattro e quattr’otto per le sue tesi considerate, in maniera bipartisan, folli e infondate: “Non fa parte del team di avvocati di Trump ma agisce per conto proprio”, si legge nello scarno comunicato con cui l’avvocatessa è stata definitivamente scaricata.

Eppure fino a pochissimi giorni fa Sidney sembrava ricoprire insieme a Rudy Giuliani un ruolo di prima linea nell’offensiva della Casa Bianca, quella per tentare di rovesciare l’esito delle elezioni presidenziali. Ma la 65enne ex procuratrice texana, nota per la sue simpatie verso le teorie del complotto di estrema destra propagate da gruppi come QAnon, si è spinta davvero troppo oltre nel suo ruolo kamikaze, tanto – pare – da far infuriare lo stesso Trump.

Perché un conto è parlare di brogli, sabotaggi, frodi elettorali, un altro è affermare in diretta tv che dietro alla vittoria di Joe Biden ci siano i soldi di gruppi comunisti internazionali, le interferenze di Antifa e globalisti, e poi i Clinton con la loro fondazione di famiglia, il magnate George Soros e persino il defunto ex leader venezuelano Hugo Chávez, a cui sarebbe riconducibile l’azienda di tecnologica Dominion Voting Systems che si occupa dei software elettorali.

Powell, nelle sue invettive, ha puntato il dito anche contro il governatore repubblicano della Georgia, Brian Kemp, uno dei principali alleati di Trump, accusandolo di complottare insieme ad altri repubblicani e democratici. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stata la dura tirata dell’anchorman di Fox News Tucker Carlson, noto sostenitore di Trump, che ha attaccato Powell per essersi rifiutata di recarsi in trasmissione con le prove delle sue accuse.

Sarebbe partito allora l’ordine del presidente di licenziarla, per il timore che le posizioni a dir poco estreme e indimostrabili dell’avvocatessa potessero trasformarsi in un boomerang, anche tra i supporter del tycoon. Del resto la carriera di Powell è sempre stata condotta sul filo di lana.

Come quando nel 2001 scelse la difficile difesa di alcuni dei dirigenti implicati dello scandalo finanziario della Enron. O come quando, difendendo Michael Flynn, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump coinvolto nel Russiagate, nel frattempo condivideva sui sociali slogan e teorie di QAnon, come quella che una congrega di pedofili nell’elite liberal manipola tutti i principali eventi mondiali. L

e sue ultime parole da legale dello staff di Giuliani promettevano una “causa biblica” verso chi ha complottato. Ma di biblico rischia di restare solo l’imbarazzo per le sue cause perse.

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