Papa Francesco difende gli uiguri: “Perseguitati”. Ira di Pechino

CITTÀ DEL VATICANO. – Si tratta di pochissime parole, una riga appena, e il libro da cui sono tratte non è ancora uscito. Ma quanto detto da papa Francesco sugli ‘uiguri’, la minoranza etnica di religione musulmana, che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, oltre a rappresentare un fatto senza precedenti, rischiano anche di determinare un brusco scossone nel faticoso cammino di avvicinamento tra la Santa Sede e il governo di Pechino.

Per la prima volta, infatti, il Papa ha definito i musulmani uiguri cinesi un popolo “perseguitato”, in quello che è un passo che gli attivisti per i diritti umani lo esortano a fare da anni. Nel suo ampio libro “Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore”, in uscita il 1/o dicembre (in Italia per Piemme) sui temi legati alla pandemia da Coronavirus, coautore il giornalista e scrittore britannico Austen Ivereigh, in una sezione dedicata alla persecuzione nei Paesi islamici il Pontefice scrive: “Penso spesso ai popoli perseguitati: i Rohingya, i poveri uiguri [e] gli yazidi”.

La Santa Sede, impegnata nel dialogo con la Cina Popolare che ha portato allo storico accordo di due anni fa sulla nomina dei vescovi e al suo recente rinnovo, è stata sempre riluttante a pronunciarsi in favore dei musulmani uiguri. In precedenza, il Papa aveva parlato dei Rohingya fuggiti dal Myanmar e dell’uccisione di yazidi da parte di militanti islamisti in Iraq, ma è la prima volta che la Santa Sede menziona gli uiguri come persone perseguitate.

E la reazione di Pechino non si è fatta attendere. I commenti di papa Francesco che definiscono “perseguitati” gli uiguri, per il governo cinese sono infatti senza fondamento. Lo ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian, secondo cui “le affermazioni di Papa Francesco sugli uiguri sono totalmente infondate”. Nella conferenza stampa quotidiana, Zhao ha aggiunto che Pechino “ha protetto i diritti delle minoranze etniche in conformità con la legge”.

La questione non è di poco conto. Da Oltretevere si è mantenuta sempre un’estrema prudenza nel toccare pubblicamente le questioni interne della Cina, proprio per non inficiare il dialogo in corso da anni, sia sulla spinosa questione delle nomine dei vescovi – che ha portato alla fine dell’annosa divisione tra “Chiesa sotterranea” e “Chiesa patriottica” e ad avere l’interezza dei vescovi cinesi riconosciuti dalla Sede apostolica – sia, in prospettiva, sull’eventuale normalizzazione dei rapporti diplomatici, interrotti nel lontano 1951.

Così è stato per la questione dei musulmani uiguri. Così è stato, finora, anche per le recenti repressioni delle proteste a Hong Kong, su cui il Papa ha preferito mantenere il silenzio. Si vedrà se le parole sugli uiguri, ed il fastidio subito manifestato da Pechino, sfoceranno ora in una maggiore tensione verso Roma e la Chiesa cattolica, o in un raffreddamento del dialogo così faticosamente costruito in questi anni, anche a dispetto, ad esempio, delle recenti pressioni del governo degli Stati Uniti, e del segretario di Stato Mike Pompeo, affinché la Santa Sede non rinnovasse l’accordo sui vescovi.

Anche agenzie cattoliche come l’asiatica Uca News, nel dare notizia delle parole del Papa, ricordano come leader religiosi, gruppi di attivisti e governi abbiano denunciato il genocidio contro i musulmani di etnia uigura nella remota regione dello Xinjiang. Secondo molti organismi internazionali per i diritti umani, più di un milione di musulmani uiguri sono detenuti in campi di internamento nella regione autonoma, nei quali sarebbero sottoposti a indottrinamento politico forzato, torture e negazione di cibo e medicine.

Non possono praticare la loro religione o parlare la loro lingua. Pechino ha sempre confutato le accuse, dicendo che i campi sono centri di istruzione professionale.

(di Fausto Gasparroni/ANSA)

Lascia un commento