Novembre 2020 il mese più caldo della storia del mondo

A Novembre clima primaverile in Giappone. (ANSA)

ROMA. – Solo pochi giorni fa abbiamo vissuto nel mese più caldo che il mondo abbia mai conosciuto. A novembre del 2020 infatti si sono registrate le temperature medie più alte della storia. E, stando a quanto sancisce Copernicus Climate Change Service – il Programma di osservazione della Terra dell’Unione europea – questo per l’Europa vale per tutto l’autunno.

Ma in un momento così delicato, per l’emergenza coronavirus che piega le popolazioni a tutte le latitudini, per l’Italia bisogna anche mettere sul piatto un passo indietro tra i Paesi che si impegnano nella lotta ai cambiamenti climatici: scende di un posto – secondo il nuovo rapporto di Germanwatch, Can (Climate action network) e NewClimate Institute sulla performance climatica del Pianeta, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia – passando dal ventiseisimo al ventisettesimo posto nella speciale classifica delle performance dei governi al contrasto al global warming.

Il mese di novembre appena trascorso – spiega Copernicus – è stato più caldo di quasi 0,8 gradi rispetto alla media del periodo compreso tra il 1981 e il 2010, e di 0,1 gradi rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. In particolare le temperature con i maggiori incrementi riguardano vaste aree dell’Europa settentrionale, della Siberia, e dell’Oceano Artico.

Ma temperature di molto superiori alla media si sono registrate anche negli Stati Uniti, in Sudamerica, nell’Africa meridionale, nell’altopiano tibetano, nell’Antartica orientale e in gran parte dell’Australia. Tra le motivazioni della discesa dell’Italia nell’indice di ‘lotta’ ai cambiamenti climatici, “il rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili” (dove si piazza al trentunesimo), e “una politica climatica nazionale inadeguata” rispetto “agli obiettivi” dell’Accordo di Parigi; obiettivi che comunque nessun Paese riesce a raggiungere.

Sull’Italia – viene rilevato – peserebbe “il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec)” che consente “un taglio delle emissioni entro il 2030 del solo 37%, con una riduzione media annua di appena l’1,7% a partire dal 2020”; cosa ritenuta un “obiettivo fortemente inadeguato”.

Allo stesso tempo – fa presente Legambiente, in rapporto ad hoc – quasi 36 miliardi di euro vanno ‘persi’ in sussidi alle fonti fossili e ambientalmente dannosi, i cosìdetti Sad. Si tratta di risorse che potrebbero invece andare “a investimenti in innovazione ambientale” e potrebbero essere “utili a uscire dalla crisi economica e sociale”.

E, “malgrado gli impegni presi dal Governo, anche il 2020 si chiude senza tagli ai sussidi alle fonti fossili”. Dei 35,7 miliardi di euro, “oltre 21,8 miliardi” sono “sotto forma diretta e circa 13,8 miliardi in forma indiretta” (per esempio all’energia sono destinati 15 miliardi e ai trasporti 16,2).

“Non esiste scusa legata al Covid-19 che tenga – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – perché l’emergenza climatica sta diventando sempre più grave e perché ogni euro non più regalato a chi inquina può liberare investimenti in innovazione ambientale. Il Recovery Plan italiano dovrà fissare le riforme e la tempistica per cancellare tutti i sussidi entro il 2030”.

(di Tommaso Tetro/ANSA)

Lascia un commento