Vita da expat al tempo del Covid, fermarsi all’estero o rientrare in Italia?

Vita da expat al tempo del Covid

ROMA. – Con la pandemia ancora in corso e non ancora debellata le città stanno assumendo nuove forme: i centri storici svuotati privi di turisti, i quartieri gentrificati diventati fantasma per la mancanza di viaggiatori, quartieri vivaci grazie ai residenti che si stanno abituando ancora di più, a causa delle restrizioni, a vivere la loro prossimità in fatto di negozi, bar, ristoranti, alimentari.

Ma due ‘tipologie’ di persone, turisti a parte, mancano all’appello o comunque sono diminuite: studenti e lavoratori fuori sede. Uno scenario in replica ovunque: da New York a Londra, da Milano a Parigi, Berlino, Madrid, Roma ecc.. Vale tra paesi europei, tra extraeuropei e all’interno degli stessi paesi per la mobilità interna.

Dopo l’impatto choc della prima emergenza, la fase due ha visto nascere il fenomeno del ‘south working’ ossia delle persone tornate ai paesi d’origine per lavorare o studiare da remoto, svuotando le città che su questo ‘in’ si erano ampliate e formate – e accanto a questo il fenomeno parallelo del lavorare da dove voglio – dunque anche dai luoghi di vacanza o da borghi in cui la vita è più a misura e meno stressante.

Ora a che punto siamo? Quali sono le prospettive? Non c’è report, come l’ultimo Inaz, che non riporti la tendenza per le aziende di assumere lo smart working come nuovo modello: solo il 6% non tornerà indietro alle modalità di prima, dunque al di là delle percentuali certamente variabili che buona parte delle giornate di lavoro si svolgerà fuori il portone di uffici e aziende sembra assodato.

Stesso dicasi per le università tutte ormai dirette verso la digitalizzazione, con lezioni e workshop a distanza se non per tutto per buona parte del corso. Città come Milano o Londra (che poi ha i problemi non indifferenti legati alla Brexit che già prima della pandemia erano sorti per fuori sede e studenti dall’estero) non torneranno, almeno secondo previsioni a breve, medio termine, come prima a pullulare di giovani studenti ed expat da tutto il mondo.

Con oltre 4 milioni di associati in 420 città nel mondo InterNations è la più grande community a livello mondiale di expats. “La nostra azienda da marzo non ha mai riaperto, siamo tutti in smart working e non si tornerà fino a quando- racconta all’ANSA Samuele Mini che lavora presso InterNations con base a Monaco di Baviera – non sarà possibile la vaccinazione di massa.

Dopo la prima fase, quando è stato possibile ripartire, in tanti lo hanno fatto, magari restando nei paesi d’origine, anche per le ferie, poi ci si è posti il problema: restare in Italia o ritornare all’estero utilizzando in entrambi i casi lo smart working? Io personalmente sono tornato a Monaco, ci vivo da 4 anni, è qui che voglio stare anche lavorando da casa. Molti miei amici e colleghi sono rientrati.

La pandemia ha costretto secondo me tutti noi expat a riflettere sulla vita, sulla soddisfazione rispetto a quello che stiamo facendo all’estero. L’emergenza ha imposto alle persone una pausa di riflessione forzata: erano sulla giostra, hanno dovuto ridiscutere le priorità della vita.

Se devo fare una statistica quelli che hanno maggiormente detto ‘torno a casa’ sono i più precari, quelli non ancora integrati, quelli per cui restare era davvero pesante e non solo economicamente. Penso a conoscenti in ambito alberghiero, della ristorazione ma anche ad amici nelle compagnie aeree.

E sappiamo – concude Mini – che le cose non torneranno come prima, che avremo bisogno di uffici meno grandi perché lo smart working diventerà un modo acquisito di lavorare, che la divisione degli spazi sarà diversa, intelligente, smart e all’insegna della flessibilità”.

(di Alessandra Magliaro/ANSA)

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