L’illuminismo di Sciascia a 100 anni dalla nascita

Sciascia, a 100 anni dalla nascita.
Sciascia, a 100 anni dalla nascita. (ANSA)

ROMA. – Uomo semplice e intellettuale complesso, capace di provocare dibattiti fruttiferi, narratore e saggista, che riesce spesso a fondere queste due anime, per indagare la realtà e le sue ipocrisie “anche a costo di fraintenderla”, tanto da suscitare alcune dure polemiche con le sue prese di posizione sulla politica e sulla giustizia, Leonardo Sciascia è una di quelle figure esemplari del secondo Novecento e di cui sentiamo l’assenza in un dialogo politico e sociale oggi tanto impoverito, celebrando venerdì 8 gennaio i cento anni dalla sua nascita a 31 dalla sua scomparsa nel 1989.

Come narratore esordisce con libri dedicati alla sua Sicilia, cominciando con i suoi ricordi di maestro in ‘Le parrocchie di Regalpetra’ (cittadina dietro cui si nasconde la sua natale Racalmuto in provincia di Agrigento, cui è sempre tornato tutta la vita) e ‘Gli zii di Sicilia’, lucidi, ironici, con già sottotraccia quella sua forte formazione illuminista e direi volterriana (‘Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia’ è un suo titolo, del 1977, e c’è poi su quella linea ‘Il consiglio d’Egitto’).

Da lì viene quel suo impegno, concreto e che diviene anche e sempre più altamente metaforico, nel cercar di raccontare e spiegare i segreti e i meccanismi di potere nella sua terra, a partire da quello mafioso che tutto contamina (e si ricordano ‘Il giorno della civetta’ e ‘A ciascuno il suo’ nei primi anni ’60) e poi, allargando la sua paziente esplorazione, nell’Italia democristiana e socialista in genere (e citiamo ‘Il contesto’, ‘Todo modo’ per arrivare a ‘L’affaire Moro’ negli anni ’70), con risultati a volte accolti come provocatori.

Sciascia, nato nel 1921, consegue il diploma magistrale nel ’41 e lavora al Consorzio Agrario a Racalmuto, conoscendo la realtà contadina e la società siciliana delle campagne, fino al 1949 quando diviene maestro elementare.

Come scrittore debutta nel 1950 con un volume di poesie, ‘Favole della dittatura’ (recensito da Pasolini), e quindi con ‘Gli zii di Sicilia’ (su una copia del quale si dice il padrino Genco Russo gli chiese la dedica dopo un’intervista e l’autore scrisse:

“Allo zio di Sicilia, questo libro contro tutti gli zii”), racconti di rivisitazioni storiche con l’ottica di proletari siciliani cui seguiranno i due successivi romanzi gialli sulla mafia, più riusciti e compiuti, dopo i quali e dopo i saggi ‘Morte dell’inquisitore’ e ‘Feste religiose in Sicilia’, nel 1969 inizia a collaborare col Corriere della Sera.

Arriveranno quindi i due racconti sempre tinti di giallo ‘La scomparsa di Majorana’ e ‘Il teatro della memoria’, prima del suo impegno attivo in politica che lo vede eletto consigliere comunale a Palermo nel 1975 come indipendente del Pci, con dimissioni dopo due anni, per accettare nel 1969 la candidatura nelle liste radicali in Europa e alla Camera dei Deputati, per la quale opta dopo due mesi a Strasburgo, finendo negli anni ’80 per esprimere pubblicamente le sue simpatie per il Psi e chiedendo candidamente a Craxi di rinnovare la classe politica siciliana, attirandosi ironie e attacchi.

Così è contro il Pci del ‘compromesso storico’, poi è perché si tratti con le Br per Moro, è critico verso i riconoscimenti al pentitismo, si attribuisce a lui l’affermazione “Né con lo Stato né con le Br” e denuncia alla Camera la possibilità di torture nella lotta al terrorismo.

Uomo irrequieto, insomma, sempre alla ricerca di qualcosa che gli sembrasse più consono e meno allineato per inseguire il proprio bisogno di non appartenenza e essere contro, che cerca sempre una sua ottica sulle cose, arrivando a scrivere nel 1987 un celebre articolo ‘Contro i professionisti dell’antimafia’ che gli procurò isolamento e critiche aspre da tutto il mondo della cultura e della politica di sinistra, con tali contraccolpi che finì poi per lasciare il Corriere e andare a collaborare con La Stampa.

I suoi romanzi trovano, come si è detto, la propria forma in un’abile chiave gialla, come genere coinvolgente che nasce dalla sua ricerca illuminista della verità, ma corretta (vincitore del Premio Pirandello nel 1953 e autore di ‘La corda pazza’, scritti che sin dal titolo rimandano alla teoria espressa nel ‘Berretto a sonagli’) da un’essenziale nota pirandelliana, per la vena ironica di fondo legata a quella impossibilità obiettiva di distinguere tra le diverse ottiche della verità e della menzogna.

Per alcuni versi quindi i gialli di Sciascia sono anticipatori di quella linea poi del noir mediterraneo (da Izzo a Carlotto) che userà il genere per farne denuncia civile, sociale e di costume. In questa ottica, complementare tema di Sciascia è certamente l’importanza del ricordare, della memoria, e La Memoria chiamerà la collana che ideerà e dirigerà per l’editore Sellerio.

(di Paolo Petroni/ANSA)