L’Europa contro la censura di Big Tech,”va regolata”

Uno striscione con il logo di Twitter.

ROMA.  – Chi controlla i controllori? Antica domanda che già si ponevano nella Roma di Giovenale. Ma soprattutto può un’azienda privata hi-tech ergersi a giudice di cosa è bene e cosa è male, cosa si può dire e cosa no? Il dibattito si fa sempre più urgente nei governi e tra le istituzioni internazionali – con moniti pesanti da Germania, Francia e Unione europea – dopo l’inedita messa al bando di Donald Trump dai principali social media.

Una damnatio memoriae decisa dai big della Silicon Valley dopo le violenze di Capitol Hill in cui i messaggi online del presidente uscente degli Usa hanno giocato un ruolo non secondario nell’incendiare gli animi dei rivoltosi.

Nonostante in Italia la discussione resti ancora piuttosto sottotraccia – salvo qualche voce isolata come quelle del leader leghista Matteo Salvini o quella di Massimo Cacciari – nella patria della democrazia, il Vecchio Continente, ci si interroga ai massimi livelli e con preoccupazione sul potere raggiunto dalle grandi società tecnologiche, in grado di silenziare a piacere leader del peso di un presidente americano, escludendolo da uno dei luoghi principali dove ormai si sviluppa il dibattito politico.

Facebook, Instagram, Twitter, Twitch hanno sospeso a tempo indeterminato l’account di Trump, Snapchat gli ha bloccato il profilo, Youtube ha ritirato molti dei video in cui contestava i risultati elettorali. Da ultimo il social network conservatore Parler, dove Trump e molti suoi sostenitori si erano rifugiati, è stato messo off-line all’indomani del monito di Amazon, Apple e Google, che non ospiteranno più il social network sulle loro piattaforme.

Una situazione che personalità non certo vicine a Trump come la cancelliera tedesca Angela Merkel definiscono senza mezzi termini “problematica”. Mentre in Francia la clase politica ha raggiunto una rara unanimità nel condannare il bando digitale ai danni del presidente Usa. “La regolamentazione dei colossi del web – ha ammonito il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire – non può avvenire attraverso la stessa oligarchia digitale”.

Sulla stessa linea la Commissione europea e l’Alto Rappresentante Ue Josep Borrell, concordi nel sottolineare la necessità di una maggiore regolamentazione dei colossi digitali purché essa avvenga nello “scrupoloso rispetto della libertà di espressione”. Soprattutto, a regolamentare meglio i contenuti dei social non possono essere solo dei privati, sottolineano a Bruxelles, dove lo scorso 15 dicembre la Commissione ha presentato una sua proposta sul tema, il “Digital Services Act”.

La svolta interventista di Big Tech – o più probabilmente le dure reazioni arrivate a livello politico – non sono piaciute neppure alle borse. A Wall Street Twitter è affondata perdendo il 10,12% in apertura mentre Facebook ha ceduto il 3,30%, en el corso della giornata sono andate in rosso anche Apple, Amazon e Google.

Al di là della questione di principio – gli effetti sulla democrazia dello strapotere di un manipolo di imprenditori californiani -, anche tra i detrattori di Trump c’è chi ha messo in evidenza un altro effetto collaterale: l’assist político fornito all’ormai quasi ex presidente.

Invece di parlare dell’assalto dei giorni scorsi a Capitol Hill, molti dei media conservatori finora vicini al tycoon – come Fox News, Newsmax e One America News Network – stanno cavalcando l’esilio forzato sancito ai suoi danni dai giganti dei social media. Con il rischio di accendere ancora di più gli animi.

(di Salvatore Lussu/ANSA)