Bankitalia-Entrate: Irpef non equo, riforma pro-lavoro

Sede principale della Banca d'Italia nel Palazzo Koch a Roma. (ANSA)

ROMA.  – L’Irpef così come è, è “inefficiente” poco “trasparente” e fortemente sbilanciata a danno dei redditi medio-bassi (cioè quelli intorno a 55.000 euro) da lavoro dipendente. Non solo, per come è costruita, è un pericoloso disincentivo a lavorare di più, a guadagnare di più e anche ad “assumere”.

Lo hanno detto con parole quasi univoche il direttore dell’agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini e il capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, Giacomo Ricotti, primi ad essere sentiti nelle audizioni che hanno avviato in Parlamento l’indagine conoscitiva in vista della riforma dell’Imposta sui redditi delle persone fisiche.

Riforma delicatissima sia perché riguarda 41,4 milioni di contribuenti (praticamente tutti i residenti in Italia) sia perché con il suo flusso di 194 miliardi all’anno è la maggiore fonte di approvvigionamento di risorse dello Stato. Detto in percentuali l’Irpef rappresenta l’11% del Pil e il 40% del gettito.

L’obiettivo della riforma sarebbe di mantenere quel flusso invariato, ma di distribuirlo meglio e di andarlo a recuperare in portafogli diversi da quelli del lavoratore dipendente. Bankitalia ha proposto un aumento del prelievo sui consumi (cioè l’Iva), ma soprattutto “un aumento dell’imposizione sulla ricchezza immobiliare e finanziaria”.

In particolare via Nazionale pensa a “una revisione dei valori catastali” assoggettando anche le abitazioni principali all’Imu. “Valori catastali aggiornati renderebbero più equa una ipotetica reintroduzione della tassazione sull’abitazione principale”, ha infatti aggiunto Ricotti.

Nata nel 1973 con l’obiettivo di un’equa redistribuzione della ricchezza, l’imposta è stata progressivamente modificata e dalle sue originarie 32 aliquote (la più bassa al 10 e la più alta all’82%) ora ne ha 5 (la più bassa 23% la più alta 43%) e , come ha riferito il direttore dell’Agenzia delle Entrate, è poco”trasparente”, “inefficiente” e per di più poco “equa”. Inoltre è decisamente “schiacciata” verso il basso, con metà dei contribuenti che dichiarano un reddito non superiore a 16.795 euro e con solo lo 0,1 per cento che dichiara più di 300.000.

Dei circa 41,4 milioni di contribuenti Irpef; l’84,1% detiene prevalentemente reddito da lavoro dipendente o pensione. Solo il 6,3 per cento ha un reddito prevalente da attività d’impresa o di lavoro autonomo. Nel corso degli anni il suo meccanismo si è modificato generando distorsioni poco trasparenti e con effetti iniqui.

L’attuale sistema dell’Irpef “disincentiva l’offerta di lavoro” e lo stimolo “a guadagnare di più”. Ha detto il direttore dell’Agenzia delle Entrate. “Il sistema delle detrazioni e delle deduzioni – ha spiegato – ha determinato una deformazione della progressività dell’imposta “effettiva” rispetto alle aliquote nominali, determinando un potente disincentivo a lavorare e guadagnare di più” perché con il meccanismo delle detrazioni decrescenti provocano su redditi medio-bassi (55.000 euro) un “salto di aliquota”. Cioè rischia di lavorare di più e guadagnare meno.

A questo meccanismo si aggiunge la selva delle “tax expenditures”, ovvero delle “esenzioni fiscali” da sempre una “criticità del sistema” che per Ruffini “è’ essenziale razionalizzare” e semplificare. Una elemento di perequazione potrebbe essere – secondo Ruffini – la previsione di “un reddito minimo esente” dalla tassazione e riconosciuto “a tutte le famiglie” ma “variabile in base alla composizione della stessa famiglia”.

Questa parte di reddito tax-free – immaginato sul modello spagnolo – potrebbe rispondere alla esigenza di “semplificazione e trasparenza nel calcolo dell’Irpef” al posto delle delle detrazioni per tipo di lavoro e componenti familiari e degli assegni familiari (nonché di altre misure per i figli, come il bonus natalità, il bonus asili nido, ecc.)”

(di Maria Gabriella Giannice/ANSA)

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