Cosa ha detto (e non ha detto) Mario Draghi al Senato

Cosa non ha detto Mario Draghi
Mario Draghi durante il discorso al Senato. (Fonte immagine Lapresse)

Il governo Draghi ha ottenuto la fiducia alla Camera e al Senato con numeri consistenti, bulgari e in linea con le aspettative. Meno scontate sono state, invece, le numerose defezioni tra i Cinque Stelle. Quindici solo al Senato, sedici alla Camera, senza contare gli astenuti e coloro che non hanno risposto alla votazione. La dirigenza del partito ha deciso di espellere tutti i dissidenti, consegnando loro la possibilità di formare un nuovo gruppo parlamentare che potrebbe allargarsi a quei parlamentari che a malincuore appoggiano Draghi. Non sono pochi, dato che fino a qualche settimana fa Vito Crimi andava sbandierando la sua contrarietà a un governo dell’ex banchiere. Si tratta, comunque, di mere ipotesi. Ciò che è certo, invece, è che il gruppo parlamentare dei grillini è in sofferenza e rischia la spaccatura con conseguenze nefaste sulla stabilità del nuovo governo e soprattutto per il futuro del partito.

In previsione dei malumori serpeggianti all’interno della nuova maggioranza, Mario Draghi, nel suo discorso al Senato – non ripetuto alla Camera – ha cercato di accontentare un po’ tutti, mantenendosi molto vago e delineando a grandi linee il suo programma. Nonostante sia stato salutato come l’uomo delle certezze, dalle sue parole traspare tutto il contrario. Gestire una maggioranza così larga, d’altronde non sarà facile. Si tratta pur sempre di un coacervo di partiti diversi tra di loro e arroccati su posizioni inconciliabili, convinti a collaborare fino a un certo punto e uniti dalla comune paura del voto. L’unica formazione rimasta fuori dal governo, infatti, è quella di Giorgia Meloni che non ha nessun timore di tornare alle urne perché finirebbe per aumentare i suoi consensi dal 5% al 17%.

Accontentare ogni fazione politica è impossibile. Ecco perché, con intelligenza, Mario Draghi è rimasto molto sulle sue, elencando punti programmatici, conditi da un po’ di retorica – che non guasta mai – per dare l’impressione ai partiti di voler essere conciliante, accondiscendente nei confronti dei loro desiderata. Molto probabilmente, però, non sarà così. Circolano in queste ore delle voci che confermerebbero un Draghi diffidente e portato a circondarsi di soli suoi fedelissimi. Secondo i giornali, il nuovo Presidente del Consiglio vorrebbe tenere per sé almeno quattro sottosegretari, una cosa che non piacerà sicuramente ai partiti. Anche sulla sua macchina organizzativa e burocratica, le sue idee sono chiare e la conferma arriva dalla scelta di Antonio Funiciello, uno dei maggiori esperti di comunicazione del quadro politico italiano.

Il discorso del Presidente del Consiglio, è durato 50 minuti e ha toccato a grandi linee le tematiche che il nuovo esecutivo sarà chiamato ad affrontare. Ma queste grandi linee raccontano anche una sorta di indecisione a delineare un preciso indirizzo politico a questo governo. Inoltre, non passerà molto tempo prima che la politica e gli italiani chiederanno al nuovo Presidente di rinunciare alla vaghezza e di uscire allo scoperto.

Cosa ha detto Mario Draghi

Il discorso dell’ex BCE si è concentrato su tre punti fondamentali: politica estera, lotta alla pandemia, transizione post-pandemia con focus sull’ambiente.

Sul primo punto Mario Draghi ha sottolineato come il governo debba seguire gli “ancoraggi storici dell’Italia” nei rapporti internazionali, cioè gli Stati Uniti e l’Unione Europea. La frase che, più di tutte, condensa il discorso dell’ex BCE circa questo punto focale è: «non c’è sovranità nella solitudine». Una stoccata nei confronti della destra leghista e, più in generale, nei confronti dei sovranisti. Una sorta di manifesto del multilateralismo, di principi e di valori europeisti e atlantisti. Per la prima volta, dopo diversi anni, anche la politica estera è tornata al centro della discussione italiana in ambito parlamentare. D’altronde, per un uomo che ha vissuto gran parte della sua vita all’estero, non ci si poteva aspettare – non senza un sospiro di sollievo – altro. A questo proposito, nei giorni scorsi Matteo Salvini aveva risposto a una domanda di un giornalista sull’irreversibilità della moneta unica con un’iconica quanto insensata risposta: «solo la morte è irreversibile». Bene, Mario Draghi ha ritenuto necessario ricordargli che di irreversibile c’è anche la moneta unica. L’irreversibilità della scelta dell’euro e la prospettiva di un bilancio pubblico comune sono stati due punti focali del discorso al Senato. Nessuna sorpresa, se si pensa che il nuovo capo del governo è l’uomo del “whatever it takes“.

Sulla politica estera Mario Draghi si è soffermato a lungo, parlando anche di rapporti extra-europei come nei confronti della Russia, della Turchia e della Cina. Tanto dialogo, ma anche attenzione agli hotspot di crisi in Asia meridionale e al rispetto dei diritti umani. Sul tavolo anche il dossier migratorio, cioè la ricerca di un equilibrio tra gli fra gli sforzi diplomatici per la conclusione di accordi di rimpatrio con gli stati d’origine e l’adozione di meccanismi efficaci di redistribuzione dei migranti tra i Paesi europei. Il tutto con uno sguardo attento nei confronti dei diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Non bisogna, al contempo, dimenticare che l’Italia quest’anno sarà presidente di turno del G20 e non sono poche le sfide che il Paese e la comunità internazionale dovranno affrontare: sviluppo sostenibile, transizione ecologica e attenzione alle nuove generazioni.

Il secondo punto del discorso di Draghi ha riguardato la lotta alla pandemia. Ricordando il bilancio drammatico del Sars Cov-2 in Italia, 2,5 milioni di casi e più di 90mila morti, l’ex BCE ha indicato la scuola e il piano di vaccinazione come le due priorità da cui ripartire. Via le primule, eredità del governo precedente, e dentro nuove indicazioni per vaccinare all’interno di ogni struttura disponibile e predisposta. Sulla scuola, come era emerso nei giorni scorsi, la priorità sarà recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno. Il terzo punto, invece, verte sulla transizione post-pandemica. Non sarà, secondo Draghi, una transizione indolore: «il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi».

Questa è una frase che merita attenzione, poiché delinea le intenzioni di Mario Draghi in politica economica. Queste parole sembrano confermare la fine dei tradizionali “aiuti a pioggia” per lavoratori e imprese a rischio fallimento, direzionando gli investimenti statali verso imprese e settori che possano garantire un’espansione economica nel futuro. Non una bella notizia per piccole e medie imprese, le quali, è bene ricordarlo, formano il tessuto economico del Paese e sono le più esposte al rischio di fallire.

Cosa non ha detto Mario Draghi

Data la vaghezza del discorso del Presidente del Consiglio, è opportuno imparare a leggere tra le righe, domandandosi quali siano i punti oscuri di ciò che ha detto e soprattutto di ciò che non è riuscito a comunicare, volutamente o meno. La dissertazione di Mario Draghi è stata molto fumosa, delineando a grandi linee un programma volto più a conquistare la fiducia dei partiti che a essere prontamente realizzato. Non sono pochi gli angoli oscuri

Sull’ultimo punto, ad esempio, quello delle piccole e medie imprese, è centrale soffermarsi per provare a capire quali siano le intenzioni dell’ex banchiere. Se da un lato appare chiaro che un homo oeconomicus come Mario Draghi sia contrario a ogni tipo di “aiuto a pioggia per tutti”, dall’altro a fare le spese di questa scelta, nonostante la retorica, saranno i lavoratori, cioè chi si trova a perdere il lavoro che gli era garantito da un’azienda che deve chiudere i battenti perché “non più competitiva sul mercato”. E c’è poco che lo stato possa fare, oltre che garantire al lavoratore sussidi di disoccupazione e corsi di formazione.

Negli ultimi anni, i diritti dei lavoratori hanno conosciuto una profonda rivisitazione. Dal famigerato articolo 18 al reddito di cittadinanza, che Matteo Renzi voleva cancellare fino a poche settimane fa. E la presenza nella maggioranza di nomi vicino a Confindustria, come quelli in quota Lega, non fa ben sperare per il futuro. Detto ciò, sulla solidità delle misure a favore dei lavoratori che perderanno il lavoro in questo periodo, dipende non solo il futuro politico di Mario Draghi e dei partiti ma, senza voler esagerare, di tutto il Paese.

Sulla politica estera, Mario Draghi ha assunto il classico atteggiamento ambiguo di ogni governo italiano da un cinquantennio a questa parte. A Palazzo Chigi manca ancora qualcuno in grado di mettere fine alla politica del “tutti amici” che da anni si è impossessata della classe dirigente italiana impedendole di guadagnare affidabilità e credibilità fuori dai confini. Da un uomo attaccato alle istituzioni europee, ci si aspettava – e ci si aspetta a dire il vero – un vero passo in avanti nell’integrazione europea. Le sue parole sulla cessione di sovranità fanno ben sperare, anche se più integrazione dovrebbe significare meno dipendenza dagli Stati Uniti.

Altri punti riguardano la parità di genere e il Mezzogiorno. Per Draghi, il suo esecutivo è “semplicemente il governo del Paese”. I numeri, però, non dicono così. Il Sud è sotto-rappresentato e, cosa più grave, alcuni ministeri chiave che beneficeranno dei fondi del Recovery Fund sono in mano a uomini della Lega fedeli alla linea nordista come Garavaglia e Giorgetti. Il primo, per esempio, si lamentava delle “troppe mance al Sud” durante il lockdown, il secondo invece è il vecchio-nuovo volto del partito, il quale sta cercando di correre ai ripari dopo la crisi della linea meridionale, nel tentativo di non perdere l’appoggio degli imprenditori del Nord. Sulla parità di genere Mario Draghi ha parlato di riequilibrio del gap salariale e di altre misure importanti ma difficile che la strada giusta passi attraverso sminuire la battaglia di migliaia di donne affinché si introducano le quote rosa, definendola “farisaica“. Basta un numero: in 75 anni di storia della Repubblica, su 4868 presidenti, ministri e sottosegretari appena 319 sono state donne. Il 6,56% del totale. Una storia di assenze e di invisibilità quella della donne nella politica italiana. É farisaico, a questo punto, parlare della quota rosa come una misura inutile? L’Italia è ancora un Paese profondamente maschilista, con una cultura patriarcale ancora forte e in cui, soprattutto in politica, il progresso è fermo. Misure del genere, atte a imporre un po’ di equilibrio sono ancora necessarie, liquidare la complessità della questione con una battuta è un mero gesto di scortesia e suona come una giustificazione per non averle rispettate nemmeno nel suo governo.

Sul fisco, invece, Draghi ha deciso di voler seguire due modelli: il primo è quello della Commissione Visentini che durante gli anni Settanta si occupò di una grande riforma tributaria su cui il nostro sistema fiscale si basa ancora. Il secondo è il modello danese, basato sul lavoro di alcuni esperti in materia che elaborarono, dopo degli incontri con le parti sociali, una grande riforma che prevedeva un taglio alla pressione fiscale del 2% del PIL. Tenendo presente che la Danimarca è uno dei Paesi con uno dei livelli di tassazione più alti d’Europa, il cui gettito fiscale è dedicato in buona sostanza a garantire alti livelli di welfare, l’intenzione di Mario Draghi è di impostare il suo lavoro sull’efficienza nordica. Il tutto preservando la progressività. Il discorso non fa una piega, però manca un riferimento alle disuguaglianze crescenti che il coronavirus consegnerà alla storia di questo Paese. Altre riforme in cantiere sono quelle sulla Pubblica Amministrazione, il cui ministro è Brunetta, chiamato lì dove ha fallito (dal 2008 al 2011 fu capo dello stesso dicastero) e quella sulla giustizia. Un altro punto fantasma è quello sui rimpatri. Come far convivere la necessità di seguire la propaganda leghista con la realtà, più complessa, che ruota attorno al fenomeno migratorio?

Sullo sfondo del discorso, si staglia una retorica pregna di unità nazionale e patriottismo, con un cenno di empatia che avrebbe dovuto provocare emozioni forti nel cuore di chi ascoltava. L’entusiasmo è stato unanime nella politica e nella stampa, con l’eccezione di Giorgia Meloni e di qualche giornale. La vaghezza non è, però, piaciuta agli italiani e a coloro i quali aspettano risposte concrete, come il numero uno di Confindustria Carlo Bonomi che chiede a Draghi di rimuovere il blocco dei licenziamenti.

Su questo e altri temi, il nuovo Presidente del Consiglio dovrà uscire allo scoperto e rendere chiare le sue intenzioni ai partiti e soprattutto agli italiani. Ci saranno sicuramente decisioni impopolari, e che metteranno a rischio la tenuta di un esecutivo con un piede all’interno di due scarpe, una elettorale e un’altra di governo, e la vera unità nazionale si vedrà proprio in queste molteplici occasioni all’orizzonte. Mario Draghi è chiamato a un compito non facile, questo va detto, e con una maggioranza così larga sarà difficile trovare la quadra. Lui, consapevole delle innumerevoli difficoltà, si sta circondando di persone fidate e i ministeri più importanti sono in mano ai tecnici da lui scelti. Per ora i partiti non hanno fiatato, tenuti a bada anche dal generico discorso al Senato. Basterà?

Donatello D’Andrea

Lascia un commento