Città desertificate, dal 2012 spariti 77mila negozi

Negozi chiusi nella via Borgo Pio, verso Piazza San Pietro pressoché deserta.
Tavolini su strada nella via Borgo Pio, verso Piazza San Pietro . (ANSA/ ALESSANDRO DI MEO)

ROMA. – Cancellate quasi centomila attività commerciali nel giro degli ultimi otto anni. Segno tangibile del progressivo e inarrestabile processo di desertificazione commerciale che ora, con l’onda lunga delle restrizioni imposte dalla pandemia, si va amplificando soprattutto per i contraccolpi sui settori della ristorazione e alberghiero.

É lo scenario tracciato nell’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio “Demografia d’impresa nelle città italiane” in cui si calcola che tra il 2012 e il 2020 sono sparite dalle città italiane oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila imprese ambulanti (-14,8%).

Ma il rapporto lancia un altro allarme: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà per la prima volta da due decenni la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%).

“Il rischio di non riavere i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico”, avverte l’associazione evidenciando come tra il 2012 e il 2020 si sia verificato un cambiamento del mtessuto commerciale all’interno dei centri storici che la mpandemia tenderà ad enfatizzare.

Per il commercio in sede fissa, tengono in qualche modo i negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che svolgono nuove funzioni come le tabaccherie (-2,3%), mentre è rilevante l’impatto del cambiamento dei consumi che coinvolge in primis  tecnologia e comunicazioni (+18,9%).

Il resto dei settori merceologici è invece in rapida discesa: i negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, mfuori dai centri storici registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina.

La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici. Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, “il futuro è molto incerto”.

Per fermare la desertificazione commerciale delle città Confcommercio individua tre direttrici, come spiega il presidente Carlo Sangalli: “sostenere le imprese più colpite dai lockdown, introdurre una giusta web tax che risponda al principio “stesso mercato, stesse regole”, piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese”.

Ma nell’immediato, bar e ristoranti avanzano le proprie richieste per cercare di sopravvivere ai vari regimi di zone mgialle e arancioni. In prima battuta, viene chiesta la mriapertura serale, almeno nelle zone gialle, dei pubblici mesercizi in grado di garantire il servizio al tavolo. Un’opzione m”non più rinviabile” avverte Fipe-Confcommercio che propone di mpoter riaprire anche alla sera, fino alle 22, in zona gialla e fino alle 18 in zona arancione.

“Ci auguriamo che il primo Dpcm del nuovo governo segni un cambio di passo” rimarca la Federazione dei Pubblici esercizi decisa a tutelare oltre un milione di lavoratori nelle “centinaia di migliaia di imprese che non possono essere aperte o chiuse con un’ordinanza pubblicata nella notte e valida dalla mattina successiva”.