Corte suprema tradisce Trump, niente scudo su tasse

Donald Trump con sguardo perplesso
L'ex presidente Usa Donald Trump. (Ansa))

WASHINGTON. – Niente scudo sulle tasse, Donald Trump dovrà consegnare le sue  dichiarazioni dei redditi degli ultimi otto anni alla procura di New York, che sta indagando su presunte frodi fiscali e assicurative della Trump Organization. Così ha deciso la Corte suprema all’unanimità, nonostante la maggioranza conservatrice che l’ex presidente ha contribuito a cementare con le sue nomine.

Una sentenza che mette fine alla lunga battaglia con cui Trump ha provato in tutti i modi a tenere nascosti i suoi “tax return”, interrompendo dopo vari decenni la tradizione di trasparenza dei suoi predecessori. “Il lavoro continua”, ha commentato via Twitter il procuratore dem di Manhattan Cyrus Vance.

Ora tutta la documentazione richiesta finirà nelle mani di un gran giurì, le cui regole di segretezza rendono improbabile la divulgazione al pubblico. Ma il New York Times ha già messo a segno in passato vari scoop su due decenni di tasse di Trump, svelando grosse perdite, enormi debiti e vari espedienti per non pagare l’erario.

La decisione della Corte Suprema è una grave sconfitta che evidenza la futura vulnerabilità giudiziaria di Trump nelle varie inchieste che lo vedono coinvolto. Un vero e proprio schiaffo che arriva pochi giorni prima del suo ritorno in scena, dopo l’addio alla Casa Bianca e l’assoluzione in Senato nel suo secondo processo d’impeachment per l’assalto al Congresso.

Trump è atteso infatti domenica a Orlando alla Conservative Political Action Conference (Cpac), la conferenza dei conservatori  americani, che quest’anno si è spostata dall’ostile Maryland alla più ospitale Florida, lo Stato dove si è trasferita tutta quasi tutta la famiglia Trump. É proprio da quel palcoscenico che l’ex presidente intende rilanciare la sua corsa alla Casa Bianca e la sua Opa sul partito repubblicano, attaccando Joe Biden per la nuova direzione di marcia impressa all’America.

Il monito che vuole lanciare, hanno anticipato alcuni suoi fedelissimi ad Axios, è che è lui “il presunto candidato repubblicano del 2024” e che è lui a controllare la base del partito. Sarà “una dimostrazione di forza”, il messaggio sarà “posso non avere Twitter o lo Studio Ovale ma sono ancora al comando”. Spiega il suo consigliere Jason Miller, uno dei falchi dell’ex amministrazione: “Trump effettivamente è il partito repubblicano. L’unico baratro è tra gli insider della Beltway  (l’anello stradale che circonda la capitale usato come metáfora dell’establishment, ndr) e la base repubblicana del Paese. Quando attacchi Trump, attacchi la base repubblicana”.

Nei sondaggi il tycoon surclassa qualunque potenziale sfidante e in una rilevazione della Suffolk University e di USA Today il 46% degli elettori di Trump lo seguirebbero se fondasse un suo partito. Gran parte dei dirigenti statali del partito sono schierati con lui e hanno censurato i dissidenti che hanno votato a favore dell’impeachment.

Trump conta su un comitato elettorale (Pac), Save America, che ha già 75 milioni di dollari e su una database con decine di milioni di nomi. In settimana a Mar-a-Lago ci sarà una prima riunione per programmare le prossime mosse e per mettere a punto la macchina per le elezioni di metà termine del 2022, dove Trump conta di schierare candidati fedelissimi contro chi gli ha voltato le spalle. Ma se il partito si presenta diviso servirà la vittoria ai dem su un piatto d’argento.

Intanto il Senato ha iniziato l’audizione per la conferma come ministro della giustizia di Merrick Gardland, che ha promesso l’indipendenza politica del dipartimento in tutte le inchieste ma ha annunciato l’impegno a combattere l’estremismo in tutte le sue forme. A partire da quelle che hanno portato l’assalto al Capitol, “un attacco alle fondamenta della democrazia”.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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