Esclusa da contratto in gravidanza, discriminazione

Una mama lavoratrice.
Una mama lavoratrice. Archivio.

ROMA. – Tutti i suoi colleghi avevano avuto il contratto prorogato con diritto ad accedere alla procedura di “stabilizzazione” a tempo indeterminato, come previsto per gli enti pubblici di ricerca da una legge finanziaria di qualche anno fa, invece lei, Stefania C., romana, era stata l’unica ricercatrice ad essere esclusa dalla proroga al suo rientro in servizio dopo il periodo di assenza per maternità.

Ora la Cassazione – dopo che la Corte di Appello di Roma aveva negato la natura discriminatoria della mancata assunzione ponendo a carico di Stefania l’onere di prove impossibili da dare – riapre questa grave vicenda e afferma che “un rifiuto d’assunzione per motivo di gravidanza di una lavoratrice pur giudicata idonea a svolgere l’attività di cui trattasi, rappresenta una discriminazione basata sul sesso in contrasto” con la direttiva Ue 76/207 sulla parità di trattamento uomo-donna.

Inoltre gli “ermellini” ricordano nei casi dove si lamenta discriminazione, è il datore di lavoro a dover dimostrare di essersi comportato correttamente senza favorire o danneggiare in base al genere.

Non è onere della parte lesa dimostrare di essere stata discriminata, nel caso di Stefania la Corte di Appello l’aveva rimproverata di non aver fornito “alcuno specifico elemento di fatto idoneo a provare la lamentata discriminazione e che in particolare non avesse fornito elementi circa le proroghe overo le stipule di nuovi contrati da parte degli altri colleghi, fondati sulla medesima ,causale, che solo avrebbero consentito di ritenere integrata una discriminazione”.

Ora un diverso collegio della Corte di Appello di Roma dovrà riaprire il caso e decidere diversamente applicando i principi indicati dagli “ermellini”.

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