L’apertura Usa non basta, la guerra infuria in Yemen

Truppe Houthi si spostano a Sanaa, Yemen.
Truppe Houthi si spostano a Sanaa, Yemen. ANSA/YAHYA ARHAB

ROMA. – Gli sforzi diplomatici che sembravano aver preso nuova linfa con le aperture americane del mese scorso non fermano la guerra in Yemen. Almeno 90 combattenti sono morti nelle ultime 24 ore nella battaglia ancora in corso a Marib, regione ricca di petrolio e ultima roccaforte del governo filo-saudita nel nord del Paese, che i ribelli Houthi alleati dell’Iran cercano di conquistare con un’offensiva in corso da settimane.

Fonti militari hanno detto che nei combattimenti fra venerdì e sabato hanno perso la vita 32 membri delle forze governative e miliziani di forze tribali lealiste, mentre sull’altro fronte non meno di 58 Houthi sono stati uccisi in raid aerei della coalizione araba a guida saudita che sostiene il governo riconosciuto dall’Onu. Altre decine di persone sono rimaste ferite.

Intanto le ripercussioni del conflitto continuano a farsi sentire anche sullo stesso territorio saudita, più vote preso di mira dai missili e dai droni dei ribelli armati da Teheran. Frammenti di due aerei senza pilota intercettati dalla contraerea di Riad sono precipitati in un’area abitata ferendo due persone, fra cui un bambino di 10 anni.

La caduta di Marib rappresenterebbe un colpo strategico esiziale per il governo yemenita, che già dal 2014 ha perso il controllo della capitale Sanaa. Ma porterebbe anche ad una nuova catastrofe umanitaria per la popolazione civile in un Paese prostrato dal conflitto, dove, secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, 16 milioni di persone, cioè oltre la metà della popolazione, devono affrontare la fame.

Centinaia di migliaia di sfollati a causa di precedenti battaglie sono ospitati in condizioni precarie in accampamenti nella regione desertica intorno a Marib.

Lo Yemen è uno dei fronti aperti nel conflitto sotterraneo in corso nella regione tra l’Iran e l’Arabia Saudita, appoggiata senza riserve dagli Usa durante l’amministrazione di Donald Trump. Il suo successore Joe Biden ha invece dato immediatamente un segno di discontinuità, facendo sapere che non avrebbe più sostenuto Riad nella guerra yemenita e togliendo gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

Decisioni che probabilmente rientrano in una strategia più vasta di Washington per riaprire un dialogo con l’Iran su tutti i contenziosi aperti, compreso il programma nucleare di Teheran. Ma ad oltre un mese di distanza dalla svolta, sul terreno non si vedono risultati concreti.

Il segretario di Stato Antony Blinken ha annunciato lunedì finanziamenti umanitari per 191 milioni di dollari, ma ha avvertito “si può mettere fine alla crisi umanitaria in Yemen solo mettendo fine alla guerra” e ha assicurato che gli Usa stanno “dando nuovo vigore” ai loro sforzi diplomatici. Ma Teheran ha risposto che nonostante queste affermazioni “la nuova amministrazione degli Stati Uniti non ha ancora fatto alcun atto pratico per interrompere l’aggressione della coalizione saudita”.

(di Alberto Zanconato/ANSA)