Le accuse di Meghan e Harry, bufera razzismo sulla corte

La regina Elizabetta II insieme a Meghan, moglie del principe Harry e su fratello maggiore William, nella residenza reale di Sandringham. Immagine d'archivio.
La regina Elizabetta II insieme a Meghan, moglie del principe Harry e su fratello maggiore William, nella residenza reale di Sandringham. Immagine d'archivio.(Ansalatina)

LONDRA.  – Per Graham Smith, totem della riserva indiana dei repubblicani militanti nel Regno Unito, neppure al tempo di Diana si era arrivati a tanto. A sentir lui, per la monarchia britannica potrebbe essere addirittura “la crisi peggiore dal 1936”, anno della vergognosa abdicazione di Edoardo VIII, il re divenuto amico dei nazisti.

Un’esagerazione, certo, ma un’esagerazione che coglie il senso dell’effetto tornado su scala planetaria dell’intervista rilasciata alla Cbs americana da Meghan e Harry, con rivelazioni che esplosive è dire poco: dalla denuncia dell’isolamento patito a corte, a quella delle tentazioni suicide che la duchessa di Sussex afferma d’aver sperimentato; fino al marchio d’infamia del razzismo. Imputato ai tabloid “corrotti”, ma anche e soprattutto a un componente al momento non identificato della Royal Family.

Qualunque cosa il casato si potesse aspettare, “questo è peggio”, sintetizza il Times. Intervistati dall’amica Oprah Winfrey, anchorwoman suprema del nuovo mondo, i Sussex hanno parlato con pacatezza, uniti e rasserenati nel rifugio dorato di Los Angeles dopo il traumatico addio dei mesi scorsi al Regno, allo status di membri senior della dinastia, ai doveri (e agli incarichi) connessi; ma dietro il tono quieto hanno assestato colpi durissimi.

Risparmiando solo la regina Elisabetta, 94 anni, e il quasi centenario principe consorte Filippo, ricoverato in ospedale a Londra dopo un intervento al cuore; non la reputazione e l’immagine dell’istituzione che per i nonni del prediletto nipote Harry è stata ragione di vita.

In due ore di chiacchierata hanno raccontato la loro verità. Dall’inizio di un’avventura nata come favola moderna, con l’ex attrice di madre afroamericana accolta in principio bene da tutti i Windsor, fino alle difficoltà di una vita di corte affrontata con una buona dose d’inconsapevolezza da Meghan (ignara pure dell’arte della riverenza a Sua Maestà), all’improvvisa freddezza seguita al successo del primo tour post matrimoniale in Australia (forse per ragioni di gelosia o di precedenze di rango, esattamente come accaduto a Lady D).

E ancora alla sensazione di abbandono denunciato da entrambi, alla resa ai “ricatti” della stampa popolare imputata ai parenti “intrappolati” nello status quo, alle parole amareggiate verso l’erede al trono Carlo (padre di Harry), ma anche verso i duchi di Cambridge, William e Kate.

E con due passaggi shock a dominare la scena: la rivelazione dell’attimo in cui Meghan sentì di “non voler più vivere”, trovando l’ancora di “salvezza” del marito, non quella di “un’istituzione” timorosa dello scandalo; e il richiamo al giorno in cui un membro della famiglia reale non esitò a condividere con Harry “preoccupazioni sul possibile colore della pelle” troppo scuro di suo figlio mentre Meghan – ora di nuovo incinta in attesa di una bambina – era al quinto mese di gravidanza prima del parto del primogénito Archie.

Episodio sconcertante che getta ombre pesanti non solo sulla Firm, l’apparato di palazzo, ma direttamente sui dintorni del trono. E se anche non coinvolge la regina né il príncipe Filippo, come ci si è affrettati a precisare oggi, riguarda senza dubbio una figura di primo piano, che i Sussex rifiutano d’identificare per non voler causare – dicono – “un danno” irreparabile alla monarchia in quanto tale.

Danno che comunque per molti versi appare cosa fatta, sullo sfondo della reazione indignata che la vicenda suscita non solo in America e in mezzo mondo bensì nel Regno Unito medesimo. Dove il sospetto evocato da Meghan di un bisnipote privato del titolo per ragioni in sostanza razziali fa fremere quelle minoranze etniche di un Paese sempre più melting pot che le nozze del 2018 avrebbero dovuto aiutare ad avvicinare alla corona.

A farsi portavoce delle proteste – mentre Harry rincara la dose in una coda dell’intervista mettendo in relazione l’addio all’isola “in larga parte” proprio con il razzismo – è soprattutto l’opposizione laburista, con la ministra ombra Kate Green e altre deputate che sollecitano Buckingham Palace – messo all’angolo e per ora paralizzato rispetto a una qualunque reazione immediata – d’investigare su se stesso.

Mentre qualche nota di silenzioso imbarazzo riecheggia persino dal governo Tory di Boris Johnson, monarchico doc. Allineato al palazzo resta peraltro il grosso della stampa britannica, tabloid “nemici” di Harry e Meghan e non solo.

Con schiere di commentatori pronti a scorticare il “vittimismo”, “l’autocommiserazione” o se non altro le esagerazioni rinfacciate a due rampolli “privilegiati” alle prese con traumi irrisolti e forse una sopravvalutazione della propia importanza, come contrattacca Clare Foges, pungente columnist conservatrice e già speechwriter dell’ex premier David Cameron. Implorando la regina di strappare i titoli reali di duchi a chi, a suo dire, ha scelto di gettare la monarchia in pasto ai media americani.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)