Regeni: tre nuovi testimoni accusano gli 007 egiziani

In una foto d'archivio manifestazione per ricordare Giulio Regeni a un anno dalla morte
In una foto d'archivio manifestazione per ricordare Giulio Regeni a un anno dalla morte. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

ROMA. – Il muro di silenzio ed omertà intorno alla drammatica morte di Giulio Regeni sembra incominciare a sgretolarsi. Sono diventati otto i testimoni che accusano in modo chiaro e credibile i cinque appartenenti ai servizi segreti del Cairo di essere gli autori del sequestro, delle sevizie e della morte del ricercatore italiano.

Da tre nuovi testimoni però arriva un dato importante: i servizi segreti cairoti avevano pianificato i depistaggi già nelle ore successive alla morte di Giulio, di cui erano a conoscenza già il 2 febbraio del 2016, 24 ore prima del ritrovamento “ufficiale” del corpo, stabilendo di inscenare una rapina finita nel sangue.

I verbali delle nuove testimonianze sono state depositate oggi dalla Procura di Roma in vista dell’udienza preliminare, fissata per il 29 aprile, del procedimento a carico di del generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif in cui si dovrà vagliare la richiesta di processo.

Nei confronti degli 007, il procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco, contestano reati, a seconda delle posizioni, di sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

Dopo la chiusura delle indagini, nel dicembre scorso, almeno dieci persone si sono fatte avanti con gli inquirenti affermando di avere notizie sul caso Regeni, di queste solo tre sono state ritenute attendibili. I “dati probatori apportano nuovi elementi conoscitivi su fatti già acquisiti”, spiegano fonti giudiziarie.

Uno dei nuovi testimoni ha raccontato a Ros e Sco che gli 007 sapevano della morte di Giulio già il 2 febbraio del 2016 e per deviare l’attenzione da loro erano pronti ad “inscenare una rapina finita male”. Il testimone ha raccontato agli inquirenti italiani di essere diventato amico di Mohammed Abdallah, il capo del sindacato indipendente degli ambulanti del Cairo, che ha denunciato il ricercatore italiano ai servizi egiziani.

L’uomo ha spiegato che il 2 febbraio di cinque anni fa era con Abdallah: “ho notato che era palesemente spaventato – ha raccontato agli investigatori italiani -. Lui mi ha spiegato che Giulio Regeni era morto e che quella mattina era nell’ufficio del commissariato di Dokki in compagnia di un ufficiale di polizia che lui chiamava Uhsam (uno dei quattro 007 imputato ndr) quando quest’ultimo aveva ricevuto la notizia della morte e che la soluzione per deviare l’attenzione da loro era quella di inscenare una rapina finita male”.

Le testimonianze raccolte potrebbero, quindi, risultare determinanti per la tenuta dell’impianto accusatorio. Già nell’atto di chiusura delle indagini venivano citati cinque testimoni che avevano fornito tasselli di “verita’ ” su quanto avvenuto al Cairo.

Secondo i testi il torturatore di Giulio fu il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Fu lui, insieme a soggetti rimasti ignoti, a portare avanti per almeno nove giorni le sevizie avvenute in una villetta in uso ai servizi segreti nella periferia della capitale egiziana.

Torture “durate giorni che causarono a Regeni “acute sofferenze fisiche” messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. Torture avvenute nella stanza 13 al primo piano di una villa utilizzata dai servizi segreti come scannatoio per i “sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale”.

“L’ho visto li dentro – ha raccontato il testimone – con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato”.

(di Marco Maffettone/ANSA)

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