Clima e disastri ecologici. Dove la Terra soffre

Un iceberg si va sciogliendo sulla costa di Innaarsuit, ad Avannaata in Groenlandia.
Un iceberg si va sciogliendo sulla costa di Innaarsuit, ad Avannaata in Groenlandia. EPA/KARL PETERSEN DENMARK OUT

ROMA. –    Emissioni di gas serra inarrestabili, inquinamento dell’aria, consumo di risorse naturali (miniere di materiali ipersfruttate), uso di combustibili fossili (petrolio e gas), agricoltura e allevamento intensivo, perdita di biodiversità e di ecosistemi naturali, eventi meteo estremi, alluvioni da un lato e siccità dall’altro, incendi fuori controllo, guerre ambientali, scioglimento ghiacci e innalzamento del livello dei mari, disastri ecologici, e profughi ambientali.

Ecco, in un colpo solo, tutto le ferite aperte del Pianeta prodotte dai “guasti” dello sviluppo lineare innescati dall’uomo e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Gli impatti sono tangibili, gli diamo spesso altri nomi; ma incasellati lungo le diverse aree geografiche ci raccontano dove la Terra soffre.

Una mappa complessa, non facile, ma con una rispostasemplice: a pagare il prezzo più alto sono le popolazioni più fragili, quelle in via di sviluppo, e dove gli effetti del clima che cambia si traducono in danni e perdite di vite umane, e dove si scarica oltre il 90% di questi impatti.

La siccità che colpisce l’Africa sub-sahariana ne è un esempio con 250 milioni di persone a rischio, qui l’accesso all’acqua potabile è introvabile, anche soltanto per i servizi igienici di base, che portano alla morte di 8 milioni di persone ogni anno; in Medioriente, dove c’è meno dell’1% delle risorse idriche mondiali, il possesso di acqua è all’origine di guerre intestine, e accompagna tutto il cammino delle lacerazioni di cui oggi vediamo soltanto un pezzo in Siria.

Negli ultimi 60 anni – viene spiegato dal programma ambientale delle Nazioni Unite – che il 40% dei conflitti interni sono connessi al controllo delle risorse naturali. Gli eventi meteo estremi (tipo alluvioni, bombe d’acqua, cicloni e uragani): come lo tsunami nel Sud est asiatico (del 26 dicembre 2004), i cicloni nelle Filippine, i turbini d’aria e pioggia che da Miami risalgono lungo la costa orientale degli Stati Uniti fino a New York risucchiando quel che trovano sulla strada.

Città come Venezia, New York, Amsterdam, Miami potrebbero essere presto allagate: l’innalzamento del livello dei mari è infatti la ripercussione dello scioglimento dei ghiacci, causato dal riscaldamento globale che a sua volta è colpa dell’effetto serra; le piccole isole del Pacifico sono già sott’acqua, come Kiribati.

L’acidificazione degli oceani, non lascia scampo ad alcune specie marine (e anche per esempio ai coralli). Il caldo intenso è anche alla base degli incendi che devastano alcune regioni del globo: sono recenti le fiamme incontrollate in California e in Australia, e i roghi che hanno distrutto la foresta Amazzonica con un danno enorme alla capacità di assorbimento di CO2 del Pianeta.

Di suo molto ha fatto l’uomo. Incidenti a grandi impianti industriali (nucleare) e disastri petroliferi (in mare) sono stati in alcuni casi delle vere e proprie bombe ecologiche: l’esplosione alla centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina è lontana nel tempo (del 26 aprile 1986) ma è ancora un ricordo vivo, oppure quella di Fukushima in Giappone; o la più grande fuoriuscita di greggio in mare della storia, il 20 aprile 2010, quella Bp davanti alle coste della Lousiana che ha invaso le acque del Golfo del Messico.

E poi un effetto diretto, e cioè le migrazioni dei popoli che subiscono tutto questo: i profughi ambientali, chi si ritrova senza terra, in fuga dalla fame, dalla siccità e dalle alluvioni estreme. Saranno oltre 200 milioni per il 2050, tutte persone che vivono in Paesi in via di sviluppo; la maggior parte di loro si sposterà in Africa sub-sahariana, 40 milioni in Asia meridionale, quasi 20 milioni in America Latina, e in Messico le città saranno prese d’assalto per l’abbandono delle zone meno evolute del Paese.

E infine, i rifiuti, quello che buttiamo malamente dopo averlo consumato; le capitali delle discariche sono in Nigeria e in Kenya, spesso “gestite” da bambini che cercano, se va bene, tra la spazzatura qualcosa che abbia un valore, se va male tra i fumi delle plastiche bruciate per recuperare i materiali. C’è anche un posto (simbolico) in mare fatto di plastica, è un’isola a largo delle coste Usa tra la California e le Hawaii.

(di Tommaso Tetro/ANSA).