Allarme commercio e servizi: persi 1,5 milioni di posti

Un uomo abbassa la serranda del suo locale.
Un uomo abbassa la serranda del suo locale. (ANSA)

 

ROMA. – Quasi 130 miliardi di consumi andati in fumo, un milione e mezzo di posti di lavoro persi, una riduzione di quasi il 10% del valore aggiunto. Sono pesanti i segni che la pandemia lascia sul terziario italiano, travolto nel 2020 da una crisi senza precedenti. A lanciare l’allarme è Confcommercio che si appella alla politica chiedendo più sostegni per un settore, senza il quale è a rischio il rilancio di tutto il paese.

Il quadro che emerge dal rapporto dell’Ufficio studi Confcommercio “La prima grande crisi del terziario di mercato” è preoccupante. Se prima del covid i servizi di mercato avevano continuato a dare il maggior contributo al Pil e all’occupazione del Paese rispetto alla manifattura e all’agricoltura, confermando la terziarizzazione della nostra economia, nel 2020 il Covid ha arrestato questo processo.

Con il risultato che, per la prima volta dopo 25 anni di crescita ininterrotta, la quota di valore aggiunto del terziario ha subito una flessione del 9,6% rispetto al 2019. In particolare, i settori del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti arrivano a perderé complessivamente il 13,2% di valore aggiunto, con i picchi più alti per la filiera turistica (-40,1% per i servizi di alloggio e ristorazione), seguita dalle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (-27%) e dai trasporti (-17,1%); contiene le perdite il commercio (-7,3%), grazie alla tenuta del dettaglio alimentare.

Pesante anche l’impatto sui consumi, con una perdita di spesa particolarmente concentrata in quattro settori (l’83%, pari a circa 107 miliardi): abbigliamento e calzature, trasporti, ricreazione, spettacoli e cultura e alberghi e pubblici esercizi. Ed è proprio la concentrazione delle perdite di consumi e valore aggiunto su pochi settori ad allarmare: questo – viene evidenziato – “appare oggi come un elemento di debolezza del sistema”.

In termini di posti di lavoro, la crisi dei servizi di mercato si è tradotta in 1,5 milioni di unità in meno, su una flessione complessiva di 2,5 milioni, per un settore che aveva creato, tra il 1995 e il 2019, quasi 3 milioni di nuovi posti di lavoro. In particolare, evidenzia il rapporto, in quei 25 anni l’agricoltura aveva perso 433mila posti di lavoro, l’industria  877mila mentre l’area Confcommercio ne aveva guadagnati 2,9 milioni, “determinando l’intera crescita dell’occupazione del sistema economico (+1,5 milioni circa)”.

A cambiare è anche l’evoluzione delle imprese per forma giuridica, evidenzia il rapporto: negli ultimi 10 anni si è registrato un progressivo e costante spostamento dal modello di ditta individuale a quello di società di capitali rivelando una trasformazione del terziario di mercato da un grande comparto di piccole e piccolissime imprese a un grande comparto costituito sempre più da imprese piccole e medie.

“Per la prima volta nella storia economica del nostro Paese il terziario di mercato subisce una flessione drammaticamente pesante”, avverte il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, che chiede che “il Piano nazionale di ripresa e resilienza dedichi maggiore attenzione e maggiori risorse a sostegno del terziario perché senza queste imprese – sottolinea – non c’è ricostruzione, non c’è rilancio”. Ed è alta anche la preoccupazione dei consumatori.

“Se per alcuni settori, come abbigliamento e calzature, con la fine del lockdown è atteso un logico e consistente rimbalzo, per altri, come trasporti, ricreazione, alberghi e cultura, non si potranno riprendere i miliardi persi durante la pandemia”, osserva l’Unione Nazionale Consumatori. A pesare sarà anche il crollo del reddito disponibile delle famiglie (-2,8% pari a 32 miliardi nel 2020), fanno notare i consumatori, che chiedono quindi “una reforma fiscale che ridia capacità di spesa ai ceti meno abbienti”.

(di Enrica Piovan /ANSA).

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