L’Iran verso il voto con la minaccia del boicottaggio

Hassan Rouhani
Il presidente iraniano Hassan Rouhani. (ANSA/EPA)

TEHERAN. – Una crisi economica drammatica, promesse non mantenute di aperture politiche, repressione delle proteste di piazza. Sono questi gli ingredienti del malessere con cui l’Iran ha avviato, con la presentazione delle prime candidature, le procedure per eleggere il 18 giugno il nuovo presidente. Una consultazione su cui pesa l’ombra di un massiccio boicottaggio.

Alcuni osservatori prevedono un’astensione senza precedenti, con drammatiche conseguenze sull’immagine di un regime impegnato nelle trattative di Vienna per cercare di convincere l’amministrazione americana di Joe Biden a tornare all’accordo sul nucleare del 2015 e revocare le sanzioni imposte fin da quando, nel 2018, il suo predecessore Donald Trump decise di uscire da quell’intesa.

É proprio per la delicatezza di questo difficile passaggio, dice all’ANSA Mohammad, un impiegato statale di 32 anni, che gli elettori dovrebbero recarsi a votare, per manifestare il loro “sostegno al sistema e non essere ingannati dalla propaganda straniera”.

Ma sono in molti ad avere perso fiducia, non solo nel governo del presidente moderato uscente Hassan Rohani, che in quell’accordo aveva investito gran parte della sua credibilità, bensì nel sistema nel suo complesso.

Il timore delle autorità è che la partecipazione al voto scenda addirittura sotto al minimo storico registrato nelle parlamentari dello scorso anno, quando non più di quattro elettori su dieci andarono alle urne, e addirittura uno su quattro a Teheran.

Su 211 elettori di diversa estrazione e tendenza, tra cui impiegati, imprenditori, operai e studenti, interpellati in questi giorni dall’ANSA, solo 43, cioè il 20,4%, sono intenzionati a votare.

Le motivazioni addotte da coloro che si vogliono astenere sono sempre le stesse: l’incompetenza nella gestione dell’economia e la corruzione, che a loro avviso hanno contribuito quanto le sanzioni Usa a provocare la crisi, la repressione delle proteste di piazza del 2018 e 2019, con un bilancio mai reso noto, ma per le quali si parla di centinaia di vittime, l’abbattimento da parte della contraerea iraniana nel gennaio del 2020 di un aereo passeggeri ucraino con a bordo 176 passeggeri, di cui 145 iraniani.

E a questo si sommano le accuse di non aver saputo gestire l’emergenza Covid, che ha colpito l’Iran più di ogni altro Paese mediorientale. “Chiedono alla gente di andare a votare perché vogliono far vedere al mondo che in Iran c’è la democrazia – dice Said, uno studente di 23 anni – ma possiamo votare solo per i candidati scelti dal Consiglio dei Guardiani. É questa la democrazia?”.

Non è ancora chiaro chi saranno gli esponenti di punta per lo schieramento fondamentalista e quello moderato e riformista. Tra coloro che si sono registrati martedì c’erano, come previsto, alcuni generali delle Guardie della rivoluzione.

Per presentare le candidature c’è tempo fino al 15 maggio, ma poi sarà appunto il Consiglio dei Guardiani, organismo conservatore, a selezionarle e ad annunciare la lista ufficiale, entro il 27 maggio.

Proprio una possibile bocciatura dei maggiori candidati riformisti rischia di dare il colpo di grazia alla partecipazione popolare, oltre al fatto che molti ritengono che il potere del presidente sia quasi inesistente di fronte a quello degli apparati militari, compresi i Pasdaran, la magistratura e lo stesso Consiglio dei Guardiani, tutti in mano ai conservatori.

Ma c’è chi ricorda che l’astensione premia sempre i fondamentalisti. “Se non votiamo – dice Sara, una casalinga di 55 anni – a vincere saranno loro, forse anche un militare. Ciò vanificherà tutto ciò che l’attuale amministrazione ha ottenuto in politica estera e nei colloqui sul nucleare e questo significherà nuove sanzioni e forse anche un conflitto con gli Usa”.

(di Mojgan Ahmadvand/ANSA).

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