La sospensione dei brevetti per i vaccini serve davvero?

Il Presidente americano Joe Biden e la Cancelliera tedesca Angela Merkel in un incontro a Berlino in un' immagine d'archivio. Reuters/ Tobias Schwarz)
Il Presidente americano Joe Biden e la Cancelliera tedesca Angela Merkel in un incontro a Berlino in un' immagine d'archivio. Reuters/ Tobias Schwarz)

É notizia di questa settimana che gli Stati Uniti hanno annunciato di essere favorevoli alla sospensione dei brevetti per i vaccini contro la Covid-19, in modo da poterne consentire la produzione in vasta scala anche ad altre aziende oltre a quelle che li hanno sviluppati e ne detengono la proprietà intellettuale.

Da mesi ormai si parla della sospensione dei brevetti, anche se non tutti sono d’accordo. I sostenitori ritengono che la sospensione potrebbe accelerare la produzione dell’unico strumento di prevenzione a disposizione della popolazione mondiale per contrastare la pandemia, i contrari, invece, dicono che non è tutto così semplice: i processi produttivi sono molto più complicati e i ritardi nella produzione e nelle consegne non derivano dai problemi legati alle limitazioni per la proprietà intellettuale.

A sostegno dell’istanza americana ci sono soprattutto India e Sudafrica, i quali capeggiano un gruppo di 60 Paesi che da mesi chiede una revisione del sistema per i brevetti dei vaccini. Fino all’annuncio di Joe Biden, nessuno aveva dato credito alle richieste indiane e sudafricane, nemmeno l’Unione Europea. L’amministrazione americana precedente, cioè quella di Donald Trump, aveva respinto la possibilità di attuare una sospensione dei brevetti.

Il presidente americano, poi, ha sostenuto che i tempi sono stretti. Per decisioni di questo tipo è necessario raggiungere il consenso di tutti i 164 Paesi membri del WTO. Un processo lungo e diplomaticamente sfiancante. Dal canto loro, le aziende farmaceutiche detentrici dei brevetti, sostengono che i ritardi e la penuria di dosi derivano da difficoltà produttive che continuerebbero a esistere anche nel caso di sospensione della proprietà intellettuale.

Non solo, esistono anche dei rischi nel sospendere i brevetti. Questi consentono alle aziende di investire denaro per fare ricerca, facendosi carico anche dei rischi legati ai fallimenti. La proprietà intellettuale, poi, garantisce un ritorno economico certo per alcuni anni prima che scada, consentendo lo sviluppo anche da parte di altri.  Questo sistema non esclude che ci siano governi pronti a concedere finanziamenti pubblici ingenti.

Ovviamente la sospensione dei brevetti potrebbe consentire alle altre aziende farmaceutiche di produrre i vaccini già autorizzati efficaci ma ciò potrebbe rivelarsi ugualmente insufficiente. Questo perché oltre ai brevetti, le aziende devono avere le conoscenze, i giusti macchinari e devono disporre delle materie prime per la produzione. Si tratta di condizioni che non sono scontate in un periodo in cui il problema principale è proprio la penuria di risorse.

Inoltre, prima di parlare di risorse, non è chiaro se gli Stati Uniti saranno affiancati dal suo partner di sempre, cioè l’Unione Europea. Il Presidente della Commissione Von Der Leyen, ha commentato con iniziale entusiasmo la proposta di Joe Biden sottolineando, al contempo, che l’obiettivo primario dell’UE è quello di aumentare la produzione. Poi si vedrà.

E l’Unione Europea cosa ne pensa?

Se la Commissione si è detta interessata a valutare la proposta degli Stati Uniti, il dibattito in Europa è più aperto che mai. Nel breve periodo la priorità resta l’aumento della produzione ma non è escluso che in futuro qualcosa in più potrebbe muoversi.

Senza dirlo esplicitamente, poi, Von Der Leyen ha fatto riferimento ai governi che finora non hanno disposto l’esportazione dei vaccini (al contrario dall’UE sono partite 38 milioni di dosi) in modo da aiutare i Paesi più in difficoltà con la pandemia o economicamente meno avanzati. Tra questi, ovviamente, ci sono gli Stati Uniti, i quali non hanno esportato nulla se non nel caso di accordi diretti con i suoi vicini per l’anticipo di qualche milione di dosi.

Anche il governo francese si è espresso sulla stessa lunghezza d’onda. Macron si è detto favorevole alla sospensione dei brevetti per i vaccini contro la Covid-19 ma tramite il suo esecutivo ha anche ricordato che «gli Stati Uniti non hanno esportato una singola dose in altri paesi, e ora parlano di sospendere i brevetti».

Al contrario dei francesi, il governo tedesco ha espresso un marcato scetticismo circa la sospensione della proprietà intellettuale, sottolineando che un provvedimento del genere non otterrebbe un voto unanime all’Organizzazione del Commercio e soprattutto ribadendo che «tra i fattori che limitano la produzione dei vaccini ci sono le capacità produttive in generale e la necessità di farlo con alti standard, non i brevetti. La protezione della proprietà intellettuale è una fonte di innovazione e deve essere preservata per il futuro». La posizione del cancellierato di Angela Merkel riflette quella delle case farmaceutiche, tra le quali c’è la BioNTech.

Mario Draghi si dice possibilista, sposando la linea francese precisando, al contempo, che gli americani debbano in primis rimuovere tutti i blocchi all’esportazione dei vaccini. Una posizione condivisibile, soprattutto a fronte dell’impegno europeo nella produzione e nella distribuzione degli stessi. La priorità, per il Presidente del Consiglio italiano, è quella di espandere la filiera produttiva, poi si dovrà andare in pressing sui Paesi extra-UE (Stati Uniti e Regno Unito su tutti) perché la smettano di bloccare l’export dei vaccini.

Entusiasmo a parte, le reticenze europee circa la sospensione dei brevetti, sono giustificate. La strada è lunga e molti Paesi non sono per nulla d’accordo nel condividere la proprietà intellettuale di un prodotto profittevole. I ministri degli Esteri europei hanno faticato molto a rinnovare il proprio supporto a Covax, il meccanismo di distribuzione dei vaccini messo in campo dalle Nazioni Unite che regolamenta anche i trasferimenti di tecnologia e delle licenze sulla sola base volontaria delle aziende – le quali hanno fatto finta che tale meccanismo non esistesse. Sul fronte della sospensione dei brevetti, invece, non è stato possibile raggiungere alcun compromesso.

É importante sottolineare, poi, che non è chiaro se il sostegno di Washington si estenda anche ai brevetti di produzione dei dispositivi sanitari. Se la sospensione arriverà, non si tradurrà subito in una espansione della disponibilità di dosi, perché le filiere produttive dovranno essere adeguate alle nuove esigenze. Produrre dispositivi sanitari, invece, è molto più semplice e in Paesi in cui la penuria è grave, come India e Brasile, condividere anche questi brevetti sarebbe fondamentale.

La sospensione è la strada giusta?

I favorevoli alla sospensione dei brevetti, sostengono che in questo modo le altre case farmaceutiche potrebbero avviare a loro volta la produzione, consentendo di avere molte più dosi a disposizione a prezzi più contenuti. I contrari, invece, ritengono che la sospensione non risolverebbe il problema dovuto all’insufficienza di dosi, dato che questa dipende soprattutto dalla mancanza di materie prime e dall’inadeguatezza degli impianti industriali nei quali produrre in sicurezza i vaccini.

A sostenere ciò, ovviamente, ci sono le case farmaceutiche, le quali ritengono che la sospensione costituirebbe un pericoloso precedente nel settore e nel modo in cui si sviluppano i farmaci. Inoltre, non è detto che a tale provvedimento segua un grande processo produttivo. Questo è il caso di Moderna, che fin da subito si è impegnata a dare libero accesso ai propri brevetti ma l’azienda ha fatto anche sapere che, fino ad ora, non sono state avviate produzioni in altri impianti. C’è da dire che per ciò che concerne il vaccino americano, ci sono anche delle complicazioni di tipo legale. I vaccini a mRNA sono basati su tecnologie già brevettate precedentemente e Moderna sta producendo sulla base di licenze.

Ma non ci sono soltanto i brevetti. La produzione di un vaccino richiede che siano trasmesse conoscenze alle altre aziende. I contrari ritengono che in molti Paesi non ci siano risorse e capacità di produzione adeguate. In realtà, in molti vedono quest’istanza come una giustificazione pretestuosa, dato che le organizzazioni internazionali compiono periodicamente dei censimenti per verificare se sussistano tali condizioni e, fino a ora, non hanno riscontrato questi problemi nei Paesi in via di sviluppo.

Le grandi aziende farmaceutiche non ritengono necessaria, comunque, la sospensione dei brevetti e preferiscono che i governi prendano strade alternative, senza creare un precedente pericoloso per la proprietà intellettuale in ambito scientifico. Tra queste c’è la sospensione temporanea del monopolio di un brevetto, stabilito dalla Risoluzione dell’AMS (Assemblea Mondiale della Sanità), cioè l’organo legislativo dell’OMS, 58.5 del 2004 prevede che durante una pandemia i governi mondiali possano prendere le misure necessarie per migliorare la fornitura dei farmaci e dei vaccini, compresa la possibilità di intervenire sulla loro proprietà intellettuale. Dunque, secondo le case farmaceutiche, non c’è bisogno di intervenire a gamba tesa sui brevetti quando è possibile farlo con una “legislazione di emergenza”.

Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica e anche in questo senso ci sarebbero dei problemi. La proprietà intellettuale non è una cosa molto semplice da gestire e, come è stato sottolineato, non si tratta soltanto dei vaccini ma anche del loro processo di produzione, delle tecnologie utilizzate e delle varie licenze concesse da aziende terze. Inoltre, c’è anche un problema politico. Nel caso in cui uno stato non sia d’accordo con questo sistema d’emergenza ci sarebbero delle conseguenze diplomatiche con cui fare i conti. E nella “legge del più forte” – dato che i possessori delle licenze non sono quasi mai i più deboli – ciò si tradurrebbe in sanzioni e interruzioni di aiuti.

Sul fronte dei ricavi, esiste una netta divisione tra chi sostiene che siano i brevetti a permette alle aziende di investire ingenti risorse nella ricerca e nella produzione dei farmaci e chi, invece, ritiene che con i ricavi le case ci guadagnerebbero comunque e che la sospensione non avrebbe effetti su questi ultimi ma piuttosto sulla fine di un regime di semi-monopolio, con benefici anche sui prezzi in vista dei richiami annuali. Su quest’ultima tesi intervengono i numeri: Moderna potrebbe guadagnare fino a 19 miliardi di dollari, Pfizer quasi 16.

Infine, come si può ben intuire, esiste un problema politico-strategico. L’Unione Europea e gli Stati Uniti pre-Biden erano restii a sospendere i brevetti anche in contrapposizione a Russia e Cina. L’esclusività di alcune tecnologie è un fattore molto importante nella guerra tecnologica in atto tra l’occidente filo-americano e l’oriente a trazione sino-russa. In particolare, a preoccupare gli europei e gli yankee è il vaccino a m-RNA, una produzione sostanzialmente recente anche se già sperimentata in passato. In realtà, nel corso degli anni su questo sistema sono stati compiuti molti progressi in diverse parti del mondo. Inoltre, è bene ricordare che la tedesca BioNTech ha già stretto un accordo con i cinesi per la produzione in licenza del suo vaccino.

Il vero problema, dunque, resta quello sollevato dai tedeschi: trovare un accordo tra 164 Paesi in breve tempo per autorizzare la sospensione dei brevetti. Non sarà semplice, richiederà mesi e molto probabilmente la pandemia sarà solo un ricordo. Almeno questo nei Paesi occidentali. Dall’altra parte del mondo, soprattutto nei Paesi poveri, la pandemia continuerà a mietere vittime con il rischio che si sviluppino nuove varianti su cui le case farmaceutiche dovranno intervenire.

Una soluzione va trovata comunque. I Paesi produttori di vaccini dovranno attivarsi per aumentare la produzione, aprendo nuovi canali per l’esportazione nei Paesi in cui le campagne procedono a rilento. Oppure dovranno sospendere i brevetti. Si tratta di una decisione che non è possibile rimandare e che va presa nel minor tempo possibile.

Donatello D’Andrea