Londra teme “l’indiana” e accelera i richiami vaccinali

Un centro vaccinale a Londra.
Un centro vaccinale a Londra. (ANSA)

LONDRA. – C’è una nuova minaccia che incombe sulle speranze del Regno Unito di liberarsi della morsa del Covid. É la cosiddetta “variante indiana” del virus, sbarcata in Europa, ma soprattutto sull’isola, dopo essere dilagata in Asia con un bilancio giunto frattanto a 24 milioni di contagi e 4.000 morti al giorno nell’ex colonia dell’immenso subcontinent.

Unica, ma non piccola ombra emergente sulla prospettiva fissata dal governo di Boris Johnson di uscire definitivamente dalle restrizioni del lockdown nazionale dei mesi scorsi dal 21 giugno, dopo la tappa intermedia di alleggerimenti rilevanti che resta in calendario da lunedì 17 maggio.

Una minaccia che suscita allarmi crescenti – suggeriti dalla comunità medica e raccolti dai vertici politici – in un Paese scottato dalle esperienze delle prime ondate della pandemia e convertito ormai al verbo della cautela.

Tanto da indurre il premier Tory a tornare a parlare stasera alla nazione per annunciare un’accelerazione immediata dei tempi dei richiami delle vaccinazioni – a partire dalle aree più colpite dal fenomeno -, oltre all’avvio della distribuzione della prima dose a tutti gli over 40 del Paese; e a non escludere più neppure l’ipotetica reintroduzione di lockdown locali o “un possibile rinvio” del tana libera tutti previsto per il 21 giugno.

Nell’ennesimo briefing da Downing Street, Johnson non ha nascosto che se la variante in questione dovesse rivelarsi alla fine “significativamente più trasmissibile” degli altri ceppi, il Paese si troverebbe di fronte a “scelte difficili da fare” prima di giugno.  Il governo, ha avvertito, in quel caso sarebbe pronto ad agire “con rapidità” e a prendere “tutte le misure necessarie”.

“La buona notizia”, ha precisato BoJo, è che “non ci sono evidenze di una maggiore resistenza di questa mutazione ai vaccini” disponibili; non senza aggiungere tuttavia che per provare ad allontanare lo spettro di nuove frenate o restrizioni draconiane la popolazione dovrà esercitare “cautela” e “buon senso” in questa fase: in particolare nelle città più a rischio.

Lo scenario complessivo dei contagi nel Regno resta al momento in effetti ai minimi europei, con appena una persona infettata ogni 1400, decessi quotidiani 10 volte inferiori all’Italia, una somma di ricoveri ospedalieri ridotta attualmente a 1000 pazienti in tutti i reparti della nazione.

Mentre i vaccini somministrati sono arrivati a quota 55,5 milioni, con 39,1 milioni di prime dosi e 19,4 di richiami. Ma come lo stesso Johnson ha ammesso ieri, la variabile indiana è  mcomunque un elemento di “preoccupazione” e di “angoscia”, non più di semplice “attenzione”.

I dati aggiornati indicano infatti che – malgrado la chiusura dei confini ai viaggi con New Delhi decretata ad aprile – i contagi censiti attribuibili alla più diffusa mutazione del coronavirus di provenienza indiana (1.617) sono arrivati ieri a 1313 nel Paese: concentrati in particolare in alcune aree urbane del nord Inghilterra come Bolton o Blackburn, già investite pesantemente dalle ondate precedenti, o nella contea del Derbyshire, a forte presenza di comunità di origine asiatica, dove sono quasi triplicati a ritmi definiti adesso “esponenziali”.

L’allerta è condivisa, sebbene in dimensione ad oggi minore, con vari Paesi dell’Europa continentale, dove d’altronde il tracciamento delle modificazioni del virus attraverso gli esami del genoma è assai meno capillare che nel Regno. E Johnson – pur confermando per ora i piani sui passaggi delle prossime riaperture o anche sullo svolgimento in presenza nelle date previste di grandi appuntamenti internazionali sotto presidenza britannica come il vertice G7 di giugno in Cornovaglia e la CoP 26 sul clima di novembre a Glasgow – stavolta non intende esser tacciato di attendismo. Né farsi prendere alla sprovvista.

((di Alessandro Logroscino/ANSA).

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