L’ombra del dragone che spaventa l’Occidente

Com'è andato il G7 in Cornovaglia
Una foto iconica del G7 in Cornovaglia con i leader distanziati (Leon Neal - WPA Pool/Getty Images)

Domenica in tarda serata si è concluso il G7, l’organismo politico che riunisce i leader delle 7 democrazie più ricche e potenti del mondo. Iniziata venerdì in Cornovaglia (Regno Unito), la riunione ha toccato numerosi argomenti di interesse generale e si è conclusa con un comunicato finale di 25 pagine, il cui contenuto spazia dalla pandemia al contrasto della Russia e della Cina. Il compromesso più importante, comunque, era stato già raggiunto diversi giorni prima del vertice, cioè la nuova tassa del 15% sui profitti delle multinazionali.

A questo G7 in tempi di pandemia hanno partecipato i leader di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Canada e Italia. Come di consueto, ha partecipato anche una delegazione dell’Unione Europea. Si è trattato del primo G7 del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e di Mario Draghi, Presidente del Consiglio italiano. L’atmosfera generale si dice sia stata molto cordiale, anche per dare l’impressione che tutto stia tornando alla normalità in seguito ai rapporti molto conflittuali che avevano caratterizzato gli incontri precedenti tenutisi con il predecessore dell’attuale Capo di stato americano, cioè Donald Trump.

L’incontro si è concluso con un comunicato molto duro nei confronti della Cina, chiamata a rispettare i diritti umani della minoranza musulmana degli uiguri e l’autonomia di Hong Kong e Taiwan. Inoltre, Joe Biden ha spinto i partecipanti a chiedere una nuova indagine sulle origini della Covid-19, dopo che nelle ultime settimane lo stesso Presidente aveva sollecitato l’intelligence ad eseguire ulteriori indagini dopo il fiasco di quelle compiute da Donald Trump. Nel comunicato si legge anche l’intenzione dei grandi della Terra di aiutare i Paesi meno ricchi ad uscire dalla pandemia e di prevenire i rischi del cambiamento climatico. Infine, nel testo è contenuto un accenno della strategia che sarà implementata nei prossimi mesi per contrastare l’ascesa della Cina e soprattutto la sua iniziativa nota come Nuova Via della Seta, il perno principale del suo grande disegno geopolitico per estendere la sua influenza su Africa, Asia ed Europa. Con ogni probabilità il nome della contro-iniziativa del G7 sarà B3W (Build Back Better World).

La risposta cinese non si è fatta attendere. L’ambasciata cinese in UK ha respinto le accuse di poca trasparenza, di violazione dei diritti umani e di concorrenza sleale sostenendo che il comunicato rilasciato contenga «bugie, voci non confermate e accuse infondate» e ha rilanciato dicendo che i Paesi del G7 «interferiscano negli affari interni della Cina».

Il nuovo avversario della Nato

Lunedì a Bruxelles si è tenuto, inoltre, un vertice Nato fortemente collegato ai temi trattati al G7. Il comunicato finale del vertice contiene una novità significativa che assegna un’importanza particolare al vertice di Bruxelles e lo pone in una posizione diversa rispetto al fumoso G7 tenutosi fino a domenica. Per la prima volta la Cina è stata identificata chiaramente come un avversario, dopo che per decenni la Nato si è concentrata solo sulla Russia, relegando Pechino a un ruolo secondario.

«La crescente influenza e la politica estera della Cina possono presentare delle sfide di cui dobbiamo occuparci insieme».

«Le sue ambizioni e il suo comportamento assertivo rappresentano una minaccia sistemica all’ordine internazionale e ad alcune aree geografiche significative per la sicurezza della NATO».

Queste sono soltanto alcune delle frasi che sottolineano come Pechino sia ormai percepita come una minaccia da parte del vecchio ordine occidentale. Tutti gli osservatori concordano che la nuova attenzione nei suoi confronti – è la seconda volta che la Cina viene citata in un documento Nato – sia figlia proprio della pressione di Biden, il quale, fin dall’inizio del suo mandato, non ha nascosto di considerare i cinesi più temibili rispetto ai russi sotto ogni punto di vista.

A preoccupare gli americani è proprio la diversa strategia perseguita da Pechino per estendere la sua influenza, cioè gli investimenti. Questi, oltre a nascondere più insidie rispetto all’hard power russo, meno attraente e più mediatico per i potenziali sodali su cui Putin mette gli occhi, si estende anche alle aree che la Nato considera di propria pertinenza, come il Medio Oriente e l’Africa centro-settentrionale. Inoltre, a preoccupare Washington c’è anche l’imponente progetto geopolitico della Nuova Via della Seta che coinvolge anche i porti italiani nell’ambito della Maritime Silk Road (MSR).

Ovviamente si tratta di temi già affrontati dagli analisti e che erano noti anche ai membri della Nato. Nonostante ciò, l’Alleanza aveva scelto di trascurarli per non turbare i rapporti commerciali intercorrenti soprattutto con gli europei. La scelta di inasprire l’approccio dei partner euroatlantici arriva in seguito al tentativo degli Stati Uniti di riaffermare la propria leadership in seno all’Alleanza dopo i fuochi fatui dell’amministrazione Trump.

Dopo le dichiarazioni d’intenti degli alleati, i prossimi passaggi per rendere definitivo il nuovo approccio della Nato nei confronti della Cina riguarderanno l’aggiornamento del programma strategico dell’Alleanza, che non contiene alcun riferimento al Paese asiatico, e un aggiornamento dell’articolo 5 del Trattato, quello riguardante la mutua difesa, per comprendere gli attacchi informatici.

Della Cina, comunque, se n’è parlato anche al G7 e anche in quest’occasione è possibile scorgere i tratti di una nuova strategia atta a contrastare l’ascesa economica del dragone e l’estensione della sua influenza nelle zone di pertinenza dell’Alleanza Atlantica.

La “competizione strategica” del G7

Al G7 gli Stati Uniti hanno annunciato che i leader hanno trovato un accordo su un piano di competizione strategica con Pechino che dovrebbe prevedere degli investimenti per la costruzione di infrastrutture «dall’America Latina ai Caraibi all’Africa all’Indo-Pacifico» per contrastare l’ascesa cinese in quei territori, un tempo di assoluta pertinenza americana.

Questo grande piano è una evidente risposta alla Nuova Via della Seta cinese e ne ricalca in gran parte le caratteristiche, riconoscendone implicitamente, i meriti da un punto di vista prettamente geopolitico. Gli americani, i quali si sono avvalsi, nel corso del tempo e a fasi alterne, di un hard power nei Paesi più poveri e di un soft power in quelli strategicamente interessanti hanno compreso che per poter conservare la leadership globale questa alternanza di approcci non può funzionare. L’esistenza di un’altra grande potenza che utilizza un abbordo diverso, apparentemente più vantaggioso, spaventa gli americani. Ovviamente non è così. Anche il metodo cinese ha le sue insidie, le quali sono riassumibili in quella che è stata ribattezzata la “trappola del debito“. In sostanza si tratta nella concessione di enormi prestiti da parte cinese a Paesi che non hanno la possibilità di ripagarli.

Il progetto americano prevede di immettere centinaia di miliardi di dollari di investimenti sia privati che pubblici nella costruzione di infrastrutture nei Paesi più poveri, con l’obiettivo di creare una partnership durevole. A differenza di quelli cinesi, garantiscono gli americani, i progetti messi in piedi dagli occidentali saranno incentrati sulla trasparenza della governance e soprattutto sulla sostenibilità ambientale. Il nome di questa iniziativa sarà, anche se su questo punto non c’è ancora una certezza granitica, Build Back Better World (B3W).

L’altro G7

Oltre all’ascesa del dragone, al G7 si è parlato anche, ovviamente, della Covid-19. I leader hanno annunciato di dover accelerare le fasi di sviluppo e di produzione dei vaccini, di terapie e di test diagnostici in caso di una nuova pandemia. Il G7, a questo proposito, ha parlato di dover implementare un “piano dei 100 giorni” per intervenire subito dopo la dichiarazione di emergenza sanitaria da parte dell’OMS. Inoltre gli stati hanno deciso di impegnare un miliardo di dosi di vaccini contro la malattia per i Paesi più poveri. Si tratta comunque di un undicesimo delle dosi necessarie affinché la popolazione mondiale sia vaccinata almeno per il 70%.

Oltre al virus, i leader hanno parlato anche della tassa globale sulla multinazionali. Gli stati membri avevano già trovato un accordo nei giorni precedenti, per tramite dei ministri delle Finanze dei 7 Paesi dell’organismo. Affinché la tassa globale abbia un senso, però, servirà un accordo al G20.

All’interno della discussione ha trovato posto, anche se molto marginalmente, il clima. I leader hanno ribadito che rispetteranno gli impegni sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, come previsto dagli accordi di Parigi, e hanno annunciato che si impegneranno a limitare l’utilizzo del carbone per produrre elettricità. Un impegno, quest’ultimo, che si estenderà, anche tramite investimenti, nei Paesi più poveri.

Infine, un ruolo rilevante è stato rivestito dalla “guerra delle salsicce” tra l’Unione Europea e Boris Johnson. La contesa riguarda il fatto che, a partire da luglio, le aziende della Gran Bretagna intesa in senso geografico (cioè Inghilterra, Scozia e Galles) non potranno più trasportare carichi di carne refrigerata verso l’Irlanda del Nord, cioè l’unica regione britannica rimasta nel mercato unico europeo. Si tratta di un divieto che è la diretta conseguenza degli accordi del dicembre scorso, accettati dai contraenti per mettere fine a una diatriba che andava avanti ormai da troppo tempo. Nonostante BoJo fosse pienamente a conoscenza di questo impedimento, ha comunque criticato la misura e ha minacciato di sospendere la parte degli accordi che riguarda l’Irlanda del Nord. Gli europei hanno risposto minacciando sanzioni. Dal canto suo, Joe Biden ha cercato di mediare con scarsi risultati ma nel caso in cui le cose dovessero generare, non è detto che prevarrà la “solidarietà anglosassone” tra gli Stati Uniti e la madrepatria inglese, dato che le dichiarazioni del Presidente spingono nella direzione della salvaguardia del confine tra Irlanda del Nord e Irlanda.

Nonostante la grande varietà degli argomenti trattati nei due vertici in Cornovaglia e a Bruxelles, il più incisivo e importante è stato sicuramente quello riguardante l’ascesa del dragone a potenza economica e politica mondiale. Gli occidentali vedono, per la prima volta dopo trent’anni, il proprio modello sfidato da una grande potenza nascente, la quale è decisa ad affermare il proprio ruolo nel mondo, proponendo un archetipo economico e politico alternativo il quale, complici le numerose défaillance occidentali degli ultimi anni, ha guadagnato la nomea di essere “efficace ed efficiente”.

Gli americani, sfruttando il richiamo dell’Alleanza Atlantica sono corsi ai ripari e hanno posto il problema sia in ottica economica che militare, richiamando all’ordine gli alleati nel tentativo di fargli cambiare approccio nei confronti di un competitor che mette a rischio la tenuta della leadership americana a livello mondiale.

“D’altronde, cambiano i presidenti ma la politica estera americana non può cambiare, poiché l’obiettivo è sempre lo stesso: il mantenimento dell’egemonia globale”.

Donatello D’Andrea

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