Cosa sta succedendo nel Movimento Cinque Stelle?

Cosa sta succedendo al Movimento Cinque Stelle?
Da sinistra a destra: Giuseppe Conte, Beppe Grillo e Luigi Di Maio (Fonte immagine LaPresse)

La crisi del Movimento Cinque Stelle si intensifica. Questo è un dato di fatto, come lo è la lotta di potere che si sta consumando in queste ore tra il guru del partito, nonché garante e co-fondatore, Beppe Grillo e il responsabile della ricostruzione e leader in pectore Giuseppe Conte. Dopo il post e le dichiarazioni con cui il comico ha scaricato l’ex Presidente del Consiglio, attaccandolo con durezza e togliendo la facoltà agli elettori e iscritti di decidere il loro destino con una votazione online, la domanda che sorge è cosa sta succedendo dentro il partito? E cosa succederà nel caso in cui una rottura violenta dovesse portare a conseguenze indesiderate per i grillini?

Non c’è dubbio che il Movimento stia vivendo il momento peggiore da quando, nel 2013, si trasformò in partito entrando in Parlamento. Un cambiamento radicale nell’identità e nella ragione sociale si era già avuto quando, con l’esperienza governativa, i grillini erano entrati nei palazzi del potere, quelli veri, cioè nei Ministeri, nelle agenzie di governo e soprattutto a Palazzo Chigi. L’esperienza parlamentare antecedente, seppur vissuta in un’istituzione importante quale il Parlamento, si era perlopiù caratterizzata più per un’opposizione feroce nei confronti dei vari governi che per iniziative costruttive. Almeno questo è lo sguardo che la politologia ha sapientemente rivolto verso l’esperienza del “primo grillismo“.

La seconda esperienza, cioè quella governativa, è stata sicuramente più proficua per comprendere la collocazione ideologia del partito nel mondo politico italiano. Dapprima a destra, poi (definitivamente?) a sinistra. Il primo governo Conte, cioè quello con la Lega, è servito soprattutto per far conoscere agli italiani la figura dell’avvocato pugliese, mentre il secondo esecutivo guidato dal professore lo ha consegnato alla leadership del Movimento. Infatti, in un sondaggio di giugno 2020, successivo dunque ai primi tre mesi di pandemia, la sua popolarità tra gli elettori del M5S superava addirittura quella di due grillini di ferro quali Di Maio e Di Battista. In sostanza, la base del Movimento aveva scelto da chi farsi guidare.

L’occasione per prendere ufficialmente le redini del Movimento è arrivata 4 mesi fa, quando Grillo aveva chiamato l’avvocato per ristrutturare il partito, caduto da diverso tempo in una crisi di consensi e di identità politica lancinante. Nelle ultime ore, dopo una lunga cena con Luigi Di Maio e Roberto Fico, il comico genovese è stato costretto a cedere alla mediazione e con un post ha annunciato di voler costituire un “comitato dei sette” avente il fine di modificare lo statuto del partito.

Probabilmente sulla decisione del co-fondatore ha influito il rischio di scissione interna del Movimento, nonché l’ascendente politico ed elettorale dell’avvocato nei confronti degli elettori grillini. Al di là delle ipotesi più disparate che possono farsi sull’incontro tra il garante e i suoi fedelissimi, sarà comunque difficile trovare un equilibrio tra i desiderata di Grillo e le posizioni di Conte. Si parte dal “no” dell’avvocato alla diarchia, cioè alla doppia leadership, la quale penalizzerebbe il suo ruolo all’interno del partito. Rispetto ai giorni scorsi, insomma, uno spiraglio per trattare c’è, seppur non bisogna sopravvalutarlo.

In caso di frattura insanabile, però, cosa succederebbe al Movimento Cinque Stelle? Quali scenari si prospetterebbero per il suo futuro? Cosa sta succedendo all’interno del partito?

Un futuro a tinte fosche?

Secondo le cronache, i parlamentari del Movimento sarebbero rimasti sorpresi dai toni e dalle parole di Beppe Grillo, il quale non ha usato mezzi termini per annunciare la categorica separazione da Giuseppe Conte. Inoltre, ha provocato agitazione il dileggio personale operato dal garante nei confronti delle capacità dell’ex Presidente del Consiglio.

Dalla parte del professore, si sarebbero schierati alcuni ministri ed ex ministri quali Stefano Patuanelli, Federico D’Incà Alfonso Bonafede. Assieme a loro, l’ex sottosegretario Riccardo Fraccaro e il reggente Vito Crimi, il quale ha scritto sui social, nei giorni scorsi, di aver avviato «una profonda riflessione» circa il suo ruolo all’interno del partito. Inoltre ha respinto ogni velleità circa il coinvolgimento di Davide Casaleggio e della sua piattaforma, ormai lontani dal Movimento Cinque Stelle.

Il clima, insomma, è incandescente. Crimi, però, è stato l’unico dei nomi noti del partito a prendere una posizione chiara sulla situazione in divenire. Luigi Di Maio ha tentato una mediazione, in parte riuscendoci, mentre Danilo Toninelli, ex Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, ha dapprima scritto un post democristiano sui social, che alcuni avrebbero preferito non leggere da parte di un dirigente dal quale ci si aspetta una posizione politica chiara (o almeno il silenzio), e poi un altro dove aveva difeso la posizione di Grillo, in netta contrapposizione alla neutralità inscenata dallo scritto precedente.

Le parole dell’ex inquilino dei Trasporti sottolineano come la confusione regni sovrana all’interno del partito, condita da fratture insanabili di difficile risoluzione, le quali potrebbero pregiudicare la stabilità del partito. La mediazione, come anticipato, sarà molto difficile ed è poco probabile che nei prossimi giorni verrano compiuti decisi passi in avanti nella mediazione se le posizioni resteranno distanti come in questi giorni. Trattandosi di una lotta di potere, entrambi i contendenti vorranno restare in sella senza perdere troppe prerogative. Di conseguenza, secondo alcuni, Conte e Grillo non potrebbero coesistere all’interno del Movimento Cinque Stelle. Le distanze sono siderali. Nonostante ciò, gran parte dei parlamentari grillini protende per la mediazione.

A pesare, però, sulla volontà di trovare un accordo c’è qualcosa di fondamentale: il futuro del Movimento. Nel corso dell’esperienza di governo, soprattutto dopo il passo indietro di Di Maio da leader nel gennaio 2020, i grillini – sia elettori che parlamentari – orfani di una guida, si sono stretti attorno all’unica persona che consideravano vicina alle loro posizioni, cioè Giuseppe Conte. Complici i limiti della struttura di potere del Movimento, rimasta ancorata a un passato movimentista che poco si addice a un partito di governo, si è ben compreso che per resistere alle bordate delle altre formazioni strutturalmente più dotate ci si doveva affidare a una figura autorevole e capace di piacere trasversalmente. La figura in questione, l’avvocato pugliese, ha impresso alla sua leadership un modo di fare totalmente diverso rispetto al Movimento delle origini, a partire dallo stile istituzionale (e poco movimentista, appunto) che lo contraddistingue. L’evoluzione dei desiderata dell’elettorato grillino fotografa questa situazione. Da un movimento anti-casta, contrario quindi alle vicissitudini dell’attività politica, a un partito vero e proprio che ha scelto di farsi guidare da un personaggio molto più vicino a un burocrate che a un attivista.

A contribuire al disorientamento grillino c’è la totale assenza di un piano alternativo all’avvocato pugliese. Conte ha un progetto politico che, per sua stessa ammissione, “non terrà nel cassetto ancora a lungo”. Ciò significa che, in caso di fallimento delle trattative, con ogni probabilità nei prossimi mesi nascerà una lista guidata proprio dall’ex Presidente, la quale drenerà i propri consensi dai pentastellati e dai moderati (PD e simili). Sarebbe una catastrofe per il Movimento, soprattutto se si tiene in considerazione che assieme all’avvocato si muoveranno, forse, anche deputati e senatori (si dice un centinaio), ivi compresi due ministri (D’Incà e Patuanelli). Non aver previsto un piano alternativo, come invece ha fatto Conte, è molto grave. D’altronde, a parziale giustificazione di tale negligenza, c’è da dire che nel partito manca una figura in grado di poterlo rimpiazzare.

Alcuni commentatori, a ragione, ritengono che la rottura tra Conte e Grillo sia stata troppo brutale per rimarginarsi senza conseguenze. Con ogni probabilità i toni morbidi di queste ore servono soltanto per evitare ulteriori incrinature interne al partito, smorzando i toni di un eventuale divorzio, riducendo le perdite. Si tratterebbe del classico “limitare i danni“. In caso di convivenza forzata tra l’avvocato e il garante, eventuali conflitti e incomprensioni sarebbero soltanto rimandate e indebolirebbero più la figura del primo che del secondo, il quale sarebbe meno esposto.

Le prossime ore saranno decisive per comprendere fino a dove i due contraenti saranno disposti a spingersi. La base continua a spingere a favore dell’una o dell’altra parte, senza fare cenno alla mediazione, mentre la maggior parte dei parlamentari preferisce tacere, faticando ad intercettare i desiderata dell’elettorato. Anche quest’ultimo, forse, è un particolare molto più vicino a un partito che a un movimento.

Donatello D’Andrea

Lascia un commento