Bussotti: “C-o-n-t-a-c-t, come fare Teatro in tempi di pandemia”

 

Fabio Bussotti

MADRID – La ricetta è semplice. Basta combinare nella giusta dose una buona conoscenza dei processi e strumenti tecnologici, un po’ di audacia, un pizzico d’inventiva e il coraggio di esplorare nuovi cammini. Il tutto abbondantemente accompagnato da professionalità e serietà. “Voilà”, il gioco è fatto. E “C-o-n-t-a-c-t”, realizzazione teatrale all’aperto, ne è la riprova. Ce ne ha parlato Fabio Bussotti, noto attore e scrittore, protagonista assieme a Lorenza Giacometti, Lorena Marina Scintu e Frabrizio Apolloni dello spettacolo nato da un’idea originale di Gabrielle Jourdain con il “concept” e la regia di Samuel Sené.

– Si presenterà fino al prossimo primo agosto – ha affermato alla Voce Bussotti-. Riprenderà dopo le vacanze, in autunno. Un po’ – ha confessato – dipenderà dalle prenotazioni. È uno spettacolo particolare che si presenta in molte capitali europee…

– Ci è stato detto che ha un format che lo rende unico. Come è nata l’idea e chi vi partecipa? Soprattutto, quali sono le caratteristiche che lo rendono originale se non unico…?

– L’idea è nata in Francia – ha spiegato -. Samuel Sené, regista francese, nel periodo del lockdown  ha pensato di portare lo spettacolo all’aperto, così da poter continuare a lavorare. È stato allestito per la prima volta un anno e mezzo fa a Parigi. Poi se ne sono interessati un po’ in tutto il mondo. Si presenta a Bruxelles, a Londra e credo anche in Svezia. Insomma, in varie capitali.  Il testo è sempre lo stesso, naturalmente con la relativa traduzione.

Ha spiegato che è necessario scaricare una App per acquistare il biglietto online. Si riceve un codice che permette di collegarsi attraverso l’app. Bisogna recarsi nell’ora e nel luogo indicati, muniti di telefonino e relativa cuffia. Le istruzioni ti indicano di seguire la ragazza che sta per arrivare. Il pubblico, un numero ridotto a causa della pandemia, entra nei suoi pensieri.

– La ragazza – ha illustrato – sta riflettendo sulla recente morte del padre. È addolorata per non averlo potuto assistere, salutare, abbracciare prima della sua dipartita. Un uomo si affianca alla ragazza e comincia a parlarle. Si sviluppa un dialogo tra i due protagonisti. Ad un certo punto, la giovane dice all’uomo che non c’è bisogno di parlare perché si può dialogare col pensiero. Comincia un viaggio, quasi psicanalitico, nel dolore della protagonista. Non proseguo per non svelare la conclusione. Mi limito a dire che c’è una sorpresa finale.  Siamo quattro interpreti, due coppie che si alternano: Lorenza Giacometti e me, Fabrizio Apolloni e Lorena Scintu. Posso assicurare che è uno spettacolo emotivo, coinvolgente. Lo presentiamo in tre diversi luoghi di Roma scelti per l’ambientazione: Trastevere, a piazza San Cosimato; il laghetto dell’Eur e nei pressi del Colosseo.

– Il pubblico che ha pagato per assistere allo spettacolo, deve recarsi nel punto indicato e attendere…

– In effetti – ha confermato, assentendo con un movimento della testa -; ad esempio, nei pressi del laghetto dell’Eur. Sul posto c’è sempre una persona della produzione ad attendere il pubblico. Dà istruzioni e spiega di cosa si tratta lo spettacolo. Attraverso le cuffie, il pubblico ascolta il dialogo tra i protagonisti. Quando l’uomo e la ragazza smettono di parlare, si continua comunque ad ascoltare la loro voce, la conversazione che si svolge tra loro. È come se gli attori parlassero mentalmente e il pubblico potesse ascoltare questo loro dialogo muto. Lo spettacolo dura più o meno 40 minuti. Alla fine del percorso c’è una panchina sulla quale siedono. Può capitare che quella stabilita sia occupata. In tal caso, s’improvvisa… se ne trova un’altra.

– Lo spettacolo, una maniera di fare teatro all’aria aperta, si ripete in altre città con lo stesso schema…

– Proprio così – ha ammesso -. La produzione è sempre francese. I diritti sono stati venduti in tutto il mondo ma il regista è sempre lo stesso: Samuel Senè. Ci sono movimenti, gesti che gli attori ripetono in Italia, in Francia, in Spagna… Non importa chi siano i protagonisti…

– Si potrebbe parlare di franchigia teatrale francese…

–  Esattamente; dal punto di vista sonoro, lo spettacolo è veramente molto ben fatto – ha sottolineato -. Si raccomanda di indossare bene le cuffie. Allora ci si rende conto che quello che si ascolta con l’orecchio destro è diverso da quello che si ascolta con il sinistro. Lo spettacolo è sonorizzato in maniera tale da provocare reazioni. Ad esempio, il suono del passaggio degli uccellini. Avviene da destra a sinistra. Gli attori muovono la testa come se stessero seguendo il loro volo…

Lorenza Giacometti

– È uno spettacolo con effetti stereo in cui bisogna fare attenzione a far coincidere la mimica con l’audio…

– Sì, è così. Altro particolare – ha tenuto a precisare -, non importa se in lingua italiana, spagnola, inglese o svedese, lo spettacolo ha esattamente la stessa durata. È stato tradotto in modo tale che i tempi fossero esattamente gli stessi. Quindi, se lo spettatore vuole seguire lo spettacolo in spagnolo e non in italiano, può farlo. Le scene corrispondono, la mimica anche.

 

Desiderio di sperimentare

Uno spettacolo, quindi, fuori dal comune; nato, come avvertono Jourdain e Sené, dal desiderio di “poter offrire un incontro artistico anche nel contesto sanitario” e dalla necessità di riconnettersi con la professione e con il pubblico. Ma come ne è stato coinvolto Bussotti?

– Mi ha chiamato il produttore italiano della “Ginevra Media”, Gianluca Ramazzoti – ha raccontato -. Io ero a Madrid. Mi ha detto che si stava allestendo questo spettacolo e mi ha chiesto se fossi interessato. Ho accettato. Mi è sembrata una proposta interessante. Mi son detto: “vediamo se questa cosa, apparentemente fredda e tecnologica, funziona”. La verità è che sì, funziona. Anche se seguiamo uno spartito ferreo – ha aggiunto -, poi ci diamo dentro ed emergono i sentimenti. Sì, fruga nell’anima, nel dolore della ragazza. Il personaggio maschile, poi, è enigmatico. Si presenta in modo strano. All’inizio pare un molestatore. Poi si capisce che è tutt’altra cosa.

– Il lavoro dell’attore non è solamente recitare ma anche aiutare la recita con la mimica… Uno sguardo, un movimento, l’espressione del volto possono dire più di mille parole…

– Anche il corpo – ha precisato -. È quasi una seduta psicanalitica. Il personaggio maschile costringe la ragazza a rivivere la rabbia. Emergono le paure che ha avuto nella vita.

Lorena Marina Scintu

Pausa accompagnata da un sorriso. Poi prosegue:

–  La cosa buffissima è che a volte, chi si trova a passare di lì e non sa che è una rappresentazione teatrale, ci vede muoverci ma non capisce. Non avendo le cuffie, non può ascoltare. Allora ci osserva con aria smarrita, ci prende un po’ per matti. Samuel Senè, in Francia, ha raccontato che più di una volta è accaduto che qualche passante, nell’osservare la ragazza piangere seduta in panchina, si è fermato per consolarla, chiedergli cosa fosse accaduto e come esserle d’aiuto.

– Tu che nel mondo del teatro e del cinema sei di casa, che difficoltà hai trovato nel dover adattarti alle nuove tecnologie?

– Mi trovo molto bene –ha confessato -. Era un’esperienza innovativa, una sfida. Come dissi al produttore Ramazzotti: “voglio vedere se funziona; voglio capire se, pure stando in mezzo ad una strada con delle cuffie in testa, riusciamo a coinvolgere in maniera sentimentale il pubblico”. Posso assicurare che effettivamente funziona…

– Insomma, sfruttare la tecnologia moderna per rinnovare un’arte antica…

– Faccio un altro esempio – ha aggiunto -, a novembre debutterò al Teatro Parenti di Milano con lo spettacolo “Il sosia” di Dostoevskij. Lo spettacolo sarà filmato. Si produrrà un video pensato per la piattaforma digitale del “Teatro Franco Parenti”. Lo faremo anche per la radio del Teatro Parenti. Quindi, accanto alla messa in scena tradizionale, lo spettacolo dal vivo sarà arricchito da altri formati.

Ha spiegato che già ha realizzato alcune prove, sia col regista teatrale sia col regista del video. L’obiettivo: coordinare un lavoro che si svolgerà su un doppio binario.

– Dovremo abituarci a questo modo di lavorare ad ampio raggio – ha affermato, considerandolo una nuova sfida -. La tecnologia può aiutare, può far sviluppare idee, può aumentare i contatti, può far venire più gente al teatro, può interessare più persone. Il teatro negli ultimi anni era diventato, soprattutto in Italia, un tipo di spettacolo da élite, riservato a poche persone… ad una nicchia di appassionati.

 

L’Invidia di Velázquez diventa audiolibro

Famiglia, lavoro e il piacere della scrittura. Difficile da conciliare. Eppure, a quanto pare, Bussotti ci riesce molto bene. Lo dimostra, qualora ce ne fossero dubbi, la presentazione recente del suo primo audiolibro.

– È la versione di un mio libro pubblicato nel 2008: “L’invidia di Velázquez” – ci ha detto-. Mi ha contattato la casa editrice Flaber. Sono dei ragazzi, giovani italiani, che vivono a New York. Hanno capito che molti italoamericani leggerebbero con piacere titoli e testi in italiano, ma li ascolterebbero ancor più volentieri. Così il mio libro di 224 pagine è diventato un audiolibro di 7 ore e 40 minuti. È cambiata l’idea di spazio-tempo – ci ha detto divertito -. Si può ascoltare in macchina, a casa, col telefonino… È così, come una storia, un romanzo scritto del 2008 che trova una nuova vita.

– In Spagna, collaborando con la scuola italiana hai anche fatto teatro per ragazzi. Sei riuscito ad interessare i giovani verso un tipo di spettacolo molto particolare… Come può il teatro sedurre i giovanissimi?

– Con la scuola italiana ho fatto un laboratorio teatrale per i giovani delle medie e della quinta elementare – ha precisato -. La lingua di Dante per i ragazzi della Scuola, la maggior parte spagnoli, è difficilissima da capire. Con loro, ho provato a focalizzare il laboratorio sul suono dell’endecasillabo, della terzina dantesca. Questo suono, la metrica e lo sviluppo della terzina, li invogliava a fare dei movimenti, a dare un significato al corpo nello spazio. Quindi, partendo da Dante siamo arrivati al teatro quasi per gioco. I canti di Dante – ha insistito – erano vissuti dai giovani con i corpi, con le voci… alla fine diventava una specie di magia: quella antichissima del teatro. Il linguaggio di Dante è quello dell’italiano del ‘300 – ha sottolineato -. È difficile da comprendere anche per gli adulti; figuriamoci quanto ostico possa risultare ai ragazzi! Non mi sono dedicato a spiegare. Non è il mio mestiere. Mi sono messo a giocare con i versi. A volte era emozionante. L’Ulisse fatto in quinta elementare non lo dimenticherò mai. Quei ragazzini hanno raccontato il naufragio della barca di Ulisse con il corpo, con le voci. Una cosa spettacolare. Il teatro è quindi un mestiere antico che funziona ancora oggi.

– Quanto aiuta, all’opera didattica che può realizzare un attore, la sensibilità degli insegnanti? Quando hai proposto il tuo progetto, qual è stata la reazione?

– Quando l’ho spiegato non l’hanno capito – ha confessato -. Almeno non immediatamente. L’hanno accettato sulla fiducia. Poi hanno visto il risultato: i ragazzi erano dentro i versi di Dante, erano parte dei versi di Dante. Il lavoro dell’insegnante s’innesta in questo gioco che è il teatro.

 

Oggi qua, domani là

Roma, Milano, Madrid. Un giorno qua e un altro là. Oggi, grazie alla velocità dei mezzi di trasporto, le distanze si sono ridotte. Ciò ci ha facilitato la vita e ha aperto nuove possibilità di lavoro. E Bussotti sa coglierle a volo.

– La tua attività ti porta a muoverti spesso tra Spagna e l’Italia. Come conciliare il lavoro a Madrid con quello a Roma o a Milano… Quali difficoltà si creano in famiglia…

– Mah, non è che si riesca a conciliarlo bene. Ci sono delle difficoltà. E poi, ora, ci si è messa anche la pandemia!  Questo ha reso più difficile il prosieguo delle attività – ha ammesso per poi deviare la conversazione su un aspetto che, probabilmente, si ripete in tanti che vivono all’estero ma restano legati all’Italia:

– Ci sono colleghi che sanno ch’io risiedo soprattutto in Spagna. Quindi, considerano che io non ci sono più per l’Italia. Sarei sparito. E allora devo spiegare: “no, guardate… io faccio avanti e indietro. Ci sono sempre”. Questo essere un po’ di qua, un po’ di là danneggia. Ma va bene comunque, mi diverto. Finché reggo vado avanti.

– Sei attore di cinema e di teatro. È difficile trovare un attore che riesca ad adattarsi senza problemi a due professioni tanto simili e, allo stesso tempo, tanto diverse. Il teatro ti mette immediatamente a contatto col pubblico. È lì, ce l’hai di fronte. Non reciti davanti ad una telecamera. Come vivi queste due esperienze?

– È una questione puramente tecnica – ha spiegato -. Naturalmente lo spettacolo teatrale dal vivo presuppone altre cose: il corpo, il gesto, l’uso della voce.

– Nel cinema, se il regista non è soddisfatto, si ripete la scena. Nel teatro, una volta iniziato lo spettacolo, non puoi interrompere. Se sbagli devi comunque andare avanti, magari improvvisando…

– Lo spettacolo dal vivo presuppone che la sfida cominci non appena si parte… È una sfida con te stesso. Certo, hai i tuoi compagni di lavoro ma c’è il pubblico che ti segue e condivide con te anche gli errori fino alla fine. Ho cominciato a 19 anni. Ora ne ho 58. Eppure, tutt’ora quando si apre il sipario m’invade una grossa emozione. È indescrivibile. Fa parte del gioco. Il cinema, la fiction, è un altro tipo di lavoro. La tecnica è diversa. Ma non lo è il lavoro interiore. Se interpreti un personaggio, devi studiarlo, devi capire i suoi sentimenti, il rapporto con sé stesso e con gli altri.

Quanto spazio si lascia all’improvvisazione…

– Dipende in che ambito sei; dipende con chi lavori… Dicevi che nel cinema si può interrompere. A volte ti capitano registi che fanno 18, 19, 20 ciak per una scena. E tu ripeti, ripeti e ripeti. C’è un gioco verso il perfezionismo. Mi è capitato di lavorare con registi, come Mario Monicelli, che fanno 1 o 2 ciak. Molto, molto si basava sulla capacità d’improvvisazione dell’attore; sul fatto che l’attore inventasse. Insomma, dipende molto con chi lavori e lo spazio che ti concedono.

– Dipende anche dalla sincronia con il partner con l’altro attore che ti è accanto…

– Si può improvvisare in certi ambiti ed in altri no – ha spiegato -. Ad esempio, nel teatro comico. L’improvvisazione era il pane quotidiano. Il comico aveva la “spalla”, qualcuno con cui andare avanti. Nel teatro classico, invece, non si può improvvisare. Non puoi con Shakespeare, non puoi con Sofocle… C’è una partitura molto, molto severa. La devi rispettare ed è giusto che sia così.

– Non è lo stesso una interpretazione teatrale che la recitazione di una poesia. Ho avuto modo, in più di un’occasione, di ascoltarti recitare poesie, sonetti ed anche filastrocche. Qual è lo studio che precede la recita… Come si lavora sulle espressioni, sugli accenti da dare a certe determinate parole, sulle pause…

– È una domanda che presupporrebbe una risposta amplia – ha commentato per poi aggiungere:

– Cercherò di essere sintetico. Vengo da una scuola, la “Bottega Teatrale di Firenze”, d’impostazione classica. Avevamo come insegnanti Gassman, Albertazzi, Orazio Costa eccetera. Insegnanti che avevano lavorato sul verso italiano, sull’ottonario, settenario, endecasillabo e la terzina di Dante. Sapevano cos’era un sonetto e ce l’hanno insegnato. Sono uno degli ultimi testimoni di questa tecnica, di questo modo di studiare. Se prendi un attore giovane, che ha fatto una scuola anche importante, non sa nulla di queste cose È un tipo di mestiere che è stato, come dire, messo un po’ da parte. Affrontare un sonetto, affrontare una terzina di Dante significa studiare gli accenti tonici, studiare i respiri. Far capire l’“enjambement”, il fatto che il verso finisce ma il senso della frase prosegue… Queste sono tecniche che mi sono state insegnate. È una sapienza antica che adesso non si studia o si studia sempre meno. Nella stessa Accademia Silvio D’Amico, che è la principale scuola italiana di teatro, che ha formato i maggiori attori di teatro del ‘900, non credo che queste cose si insegnino ancora oggi. È una sapienza che non dovrebbe andare persa… perché si arrecherebbe un danno alla conoscenza della lingua e della letteratura italiana.

Bussotti, a Roma impegnato nella rappresentazione dell’opera teatrale “C-o-n-t-a-c-t-o”, approfitta della nostra conversazione “via skype” per annunciare l’uscita prossima dell’ultima sua fatica letteraria: il romanzo “La ragazza di Hopper”. Si tratta di una nuova avventura del Commissario Bertone scritta, confessa l’autore, durante il lockdown imposto dalla pandemia.
Mauro Bafile

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