L’ombra dello strappo Conte-Draghi sulla giustizia, caos M5s

Il presidente del Consiglio Mario Draghi con i ministri Cartabria e Speranza durante la conferenza stampa.
Il presidente del Consiglio Mario Draghi con i ministri Cartabia e Speranza durante la conferenza stampa. (Ufficio Stampa e Comunicazione della Presidenza del Consiglio)

ROMA. – Senza accordo sulla riforma della giustizia, i ministri del Movimento 5 stelle potrebbero valutare “insieme a Giuseppe Conte” di uscire dal governo. Fabiana Dadone, ministro pentastellato, lo dice all’indomani del Consiglio dei ministri che ha autorizzato la fiducia del provvedimento. Una decisione, nota più di un collega di governo, cui lei non si è opposta. Passata all’unanimità. E preceduta da una telefonata tra il premier Mario Draghi e il leader in pectore del Movimento.

Dadone adombra, poi dopo qualche ora corregge: “Minacciare non è nel mio stile, Conte e Draghi troveranno punti di incontro”. Ma le parole di guerra alimentano le fibrillazioni tra i parlamentari pentastellati e preoccupano i Dem. Una mediazione è possibile, si dice ottimista il capo delegazione M5s Stefano Patuanelli. Ma il campo è minato.

Draghi ha aperto, ma solo a miglioramenti tecnici. Il premier lo ha ribadito giovedì pomeriggio al telefono a Conte, prima di riunire il Consiglio dei ministri e presentarsi in conferenza stampa con al fianco Marta Cartabia. Non si può stravolgere – è il ragionamento – una riforma frutto di una lunga mediazione e di un accordo approvato da tutti i partiti in Cdm.

La riforma è “perfettibile” ma va guardata “nel suo insieme”, dice Cartabia. Ma la telefonata di giovedì pomeriggio certifica una prima fumata nera tra l’ex premier e Draghi. Dal governo era infatti arrivata al M5s l’apertura ad alcune modifiche, tra cui l’ampliamento della norma transitoria che farebbe entrare a regime la nuova prescrizione della riforma Cartabia dal 2025 e intanto farebbe scattare l’improcedibilità dopo tre anni.

In risposta però Conte avrebbe fatto pervenire agli ‘sherpa’ di Palazzo Chigi una controproposta con modifiche che andavano ben oltre gli aggiustamenti tecnici, cambiando profondamente la riforma. Impossibile siglare un accordo da presentare magari in conferenza stampa già giovedì sera.

Draghi, viste le “distanze incolmabili”, informa Conte – così come fa con gli altri leader della maggioranza – che in Consiglio dei ministri chiederà l’autorizzazione alla fiducia. I ministri M5s non si smarcano. C’è ancora spazio per trattare sugli aggiustamenti, ma senza intesa la riforma sarà blindata. E i Cinque stelle dovranno decidere da che parte stare. Dentro o fuori la maggioranza.

A togliere per ora dal tavolo un elemento di ulteriore tensione ci pensa il vicepresidente del Csm David Ermini che, recependo le indicazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non inserisce all’ordine del giorno del prossimo plenum del Consiglio superiore della magistratura il parere della commissione che ha bocciato la nuova prescrizione, per permettere “al Csm di esprimersi sull’intera riforma del processo penale”.

Ma in Parlamento l’atmosfera è molto tesa. Patuanelli butta acqua sul fuoco: la fiducia serve a “proteggere il percorso” di un testo “tanto complesso”, spiega. Una mediazione sul testo “è possibile”. Ma i gruppi M5s sono agitatissimi. Un altro deputato, Giovanni Vianello, esce dalla maggioranza – e verrà probabilmente espulso dal Movimento – votando contro la fiducia sul decreto semplificazioni.

Nei corridoi di Montecitorio si contano i barricaderi: c’è chi dice trenta, chi quaranta. Dipende tutto, dice un dirigente, da Conte: se siglerà un’intesa, può far rientrare il dissenso. Ma intanto i “governisti” accusano l’ex premier di mettere a rischio anche l’alleanza con i Dem (e le amministrative): “Molti colleghi Pd non capiscono le minacce di Dadone di uscire dalla maggioranza e lasciarli soli al governo col centrodestra, anche perché si sono impegnati a mediare”, dice un deputato.

Ma dal Nazareno ridimensionano il tutto a fibrillazione fisiologica: l’alleanza non si discute, l’intesa sulla giustizia si farà. Dadone interviene a precisare le proprie parole e Conte trascorre il pomeriggio alla Camera con i deputati, alla ricerca di un difficile terreno di mediazione. La fiducia – dice un governista – potrebbe aiutarlo a ricondurre a unità gruppi parlamentari molto divisi e agitati. Il semestre bianco – precisa Patuanelli – non sarà un pericolo per il governo, dal momento che la pandemia ancora in corso richiede la responsabilità di tutti.

Ma per trovare una quadra sulla giustizia ci sono pochi giorni: l’Aula è fissata per il 30 luglio e la commissione inizierà a votare a inizio della prossima settimana. Solo un’intesa può portare il M5s a ritirare i centinaia di emendamenti presentati e velocizzare il via libera al testo. Ma le correzioni non possono smontare il testo, perché il centrodestra sarebbe pronto a insorgere.

Lo dimostra quanto avvenuto in commissione, dove Fi chiede di “allargare il petimetro” del decreto di riforma del processo penale, così da far rientrare gli emendamenti sull’abuso d’ufficio, dichiarati inammissibili per estraneità di materia dal presidente Mario Perantoni.

Si deciderà lunedì ma intanto il governo accoglie un ordine del giorno al decreto Recovery presentato da Enrico Costa (Azione) che lo impegna a studiare le modifiche alla legge Severino, nel punto prevede la sospensione degli amministratori locali dopo la condanna in primo grado per abuso di ufficio. Un’altra norma da brividi per i Cinque stelle.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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