Peppe: l’oro di Napoli in cucina a Tokyo

Il cuoco Giuseppe Errichiello, "Peppe" nella Casa d'Italia a Tokyo.
Il cuoco Giuseppe Errichiello, "Peppe" nella Casa d'Italia a Tokyo. (ANSA)

TOKYO.- “Io non sono uno chef, sono un pizzaiolo. Ma ai miei ragazzi in cucina – giapponesi e italiani – spiego come voglio che escano i piatti. Li voglio come mi ha insegnato mia nonna, le polpette, le lasagne senza besciamella, con ricotta, salame e mozzarella”: Giuseppe Errichiello, 37 anni, per tutti a Tokyo solo “Peppe”, ha “il cuore a Napoli e la testa in Giappone”.

Nella capitale giapponese ha due ristoranti, che si chiamano “Napoli sta ca” e in pochi anni sono diventati i punti di riferimento della cucina italiana. In questi giorni di Olimpiadi, la sua specialità, le pizze, le fa anche a Casa Italia, centro di gravità per dirigenti azzurri e giapponesi (molti) affascinati dallo stile di vita “azzurro”.

“Il nostro successo – racconta Peppe all’ANSA – è l’originalità. Chi viene da noi deve rispettare il nostro concetto di napoletanità, non meravigliarsi se si parla a voce alta, debe inserirsi nel contesto”.

Per questo, ai suoi clienti non risparmia nulla, chi entra lo fa veramente per una full immersion partenopea, a cominciare da sciarpe e gagliardetti del Napoli Nippon Club da lui fondato, con le foto di Maradona ovunque.

Da Napoli, Peppe se ne andò quando aveva 20 anni, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili. Fu un colpo di fulmine per Ayumi, la ragazza giapponese che incontrò nel 2003 su un treno e che diventò sua moglie.

E negli anni anche mamma di Ferdinando che adesso ha 10 anni e che in realtà si chiama Ferdyu, una fusione fra lo storico nome napoletano e “yu”, che in giapponese vuol dire coraggio.

“Con Ayumi ci innamorammo, dopo 6 mesi in Italia la accompagnai all’aeroporto e la vidi piangere – racconta Peppe – sei mesi dopo, quel pianto all’aeroporto mi convinse a prendere l’aereo. ‘Comprai’ 1.000 euro, insomma me li feci prestare. E sbarcai a Tokyo. Un arrivo difficile, mi trovarono nei bagagli salami, formaggi…dovette venire Ayumi a spiegare”.

Un napoletano che decide di rimanere a Tokyo: “mi ha fatto innamorare questa città grande, attiva, dove puoi mangiare o andare a bere di notte, 24 ore su 24. I giapponesi più anziani hanno ancora lo spirito dei samurai, la voglia di non arrendersi mai. Ed è quel tipo di giapponese che mi ha fatto innamorare.  Feci il lavapiatti per un anno, poi riuscii a farmi assumere come pizzaiolo, lavoravo con uno chef che si chiamava Suzuki, facevamo un’ottima pizza”.

Tre anni dopo, nuovo cambio di lavoro e di status, ma arriva il terremoto e Ayumi è incinta, Peppe decide di tornare a Napoli. Ma mentre va in aeroporto, vede un piccolo locale da ristrutturare, nel quartiere di Kamiyacho.

Non lo dice subito ad Ayumi, si fa prestare la somma necessaria da 4 amici e avvia la nuova attività: “nacque così la prima pizzeria ‘Napoli sta ca’. Il concetto? Semplice, è il sogno, una pizzeria tutta con i colori di Napoli, le immagini e gli oggetti di Napoli, il calcio di Napoli”. Quattro anni dopo, si aggiunge un locale più grande, nel quartiere più residenziale e familiare di Komazawa Daigaku, dove tutti ormai lo conoscono e lo salutano in strada.

Il locale più piccolo lo gestisce suo fratello, dal quale nel frattempo Peppe si è fatto raggiungere da Napoli, nell’altro c’è lui, Peppe. Ayumi è sempre il suo braccio destro, un rapporto mai incrinato nonostante la separazione fra i due.

Quello di Peppe, ormai, è diventato un business importante, 3 società di import-export di alimentazione fra Italia e Giappone, i due locali diventati in pochi anni punti di riferimento dove vanno a mangiare (ma in tempi di pandemia non manca il delivery) personalità giapponesi e vip italiani di passaggio (Peppe snocciola i nomi, fra gli altri Beppe Grillo, Zucchero e, ovviamente, il presidente del Coni, Giovanni Malagò).

Ora pensa a una serie di stage nell’istituto alberghiero di San Giovanni a Teduccio, a Napoli, per aprire la strada ai napoletani che vogliono andare a lavorare in Giappone.

“Parlo giapponese – racconta – l’ho imparato lavorando. Qui ho cominciato una nuova vita, l’ho costruita da solo dopo anni difficili. Anche se si nasce sfortunati, ci si può riscattare”, aggiunge con il suo forte accento napoletano.

E Ferdinando, Ferdyu per i suoi amici giapponesi? “ora il mio obiettivo è lui, vediamo cosa vorrà fare, la prima delle mie aziende l’ho chiamata col suo nome. Ma il mio orgoglio di padre lo metto da parte. Aspetto e osservo. Una cosa, intanto, l’ho imparata, ed è che ripartire da zero, in fondo, non è difficile”.

(dell’inviato Tullio Giannotti/ANSA).

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