La povertà che distrugge il futuro

CARACAS – La recente ricerca Encovi “Encuesta de Condición de Vida 2021”, un’indagine sulle condizioni di vita del venezuelano realizzata dalla “Universidad Católica Andrés Bello” (alle prime edizioni hanno partecipato anche l‘“Universidad Central de Venezuela” e l’“Universidad Simón Bolívar”), ha messo in evidenza, traducendola in numeri, una tragedia che è alla vista di tutti: l’incremento delle povertà. Questa ha raggiunto livelli tali da dare ragione a chi ritiene che il Paese ha vissuto negli ultimi venti anni un progressivo processo di deterioramento. In altre parole, un incremento inarrestabile della povertà che contrasta con l’opulenza di cui fanno sfoggio una nuova borghesia, nata all’ombra del Governo, ed una élite di vecchia data, che riesce sempre a trovare gli strumenti per sopravvivere ad ogni avversità.

Il sogno della “rivoluzione chavista” è solo quello: un sogno. Di esso nulla è rimasto, perché nulla è stato creato per realizzarlo. Come sostiene Iñigo Errejón, nel suo ultimo libro “Con todo, de los años veloces al futuro”, “la rivoluzione non è conquistare il ‘Palazzo d’Inverno’ ma avere la capacità di raccogliere i rifiuti nelle strade ed assicurare acqua e cibo il lunedì seguente”. E non sono solo acqua e cibo che mancano in Venezuela, ma anche servizio elettrico, carburante, ospedali e scuole… Cioè il minimo che uno stato moderno, con una politica sociale normale, dovrebbe garantire ai cittadini. La “rivoluzione chavista”, stando alle cifre pubblicate nell’edizione 2021 di Encovi, è stata un’occasione perduta per il 95 per cento dei venezuelani condannati alla povertà e, soprattutto, per quel 75 per cento che versa nell’indigenza più assoluta. La loro miseria fa a pugni con l’opulenza in cui vive il 5 per cento della popolazione, tra viaggi all’estero, auto di lusso, mansarde acquistate a Madrid, Parigi, Londra, Roma o Miami, feste, banchetti ed ogni altro tipo di eccessi.

“Encuesta de Condición de Vida (Encovi) 2021” offre le uniche statistiche a disposizione dei venezuelani. Non che questo Governo non ne abbia ma sembrerebbe non avere interesse a renderle pubbliche. Ma, se i numeri si possono occultare, non si può fare altrettanto con i bambini che chiedono cibo in ogni angolo di strada, con i giovani senza lavoro e senza futuro che ingrossano l’esodo venezuelano, con gli anziani venditori ambulanti e con i disperati che chiedono un piatto di minestra alle porte di conventi e di mense pubbliche.

“Encovi” fotografa due Paesi. Da un lato, il 5 per cento della popolazione che spende oltre 30 dollari a piatto per una cena, negli eleganti ristoranti o locali notturni del quartiere “Las Mercedes”, dove si erigono enormi torri vuote, modelli di architettura futurista e d’avanguardia e osceni monumenti al riciclaggio di denaro; e, dall’altro, il 95 per cento dei venezuelani che guadagna meno del necessario per assicurarsi i tre pasti quotidiani. “Encovi” stima che tre venezuelani su quattro vivono con meno di due dollari al giorno, la frontiera tra la povertà e la miseria assoluta. Da un lato, quindi, i proprietari di Ferrari, Audi o Lamborghini, che fanno rifornimento in stazioni di benzina vuote perché vendono il carburante a prezzi internazionali e pertanto sono accessibili solo a chi può pagare in dollari; e dall’altro, i proprietari di utilitarie del 1970 o 1990, che devono fare ore e ore di fila, a volte trascorrendo la notte all’addiaccio, per fare il pieno presso la stazione di benzina che vende carburante a prezzo sussidiato.

La ricerca condotta dai professori delle maggiori università del Paese, racconta anche la realtà di 8,1 milioni di lavoratori disoccupati, obbligati a reinventarsi per sopravvivere. Ovvero, a vendere caffè in strada, sigarette, ad offrire prodotti di seconda mano o a liquidare le poche cose acquistate in passato con grandi sacrifici. Si stima che siano oltre 500mila le aziende private, piccole o grandi, che hanno chiuso definitivamente. Sono aziende che non riapriranno, nonostante la svolta liberista del governo. Ma non basta consegnare alberghi, industrie espropriate, supermercati o proprietà dello Stato a investitori stranieri per creare posti di lavoro. Si stima che dal 2014 ne siano stati letteralmente bruciati circa 4,4 milioni.

Nei quartieri più poveri delle città, quelli che le circondano quasi volessero porle in assedio permanente, si sopravviveva, fino a qualche anno fa, grazie ai “bonus” che assegnava il Governo a discrezione. Ammortizzatori che hanno aumentato la dipendenza dallo Stato dei gruppi sociali più bisognosi, ed anche più numerosi. E che hanno mantenuto l’illusione di un Governo del Welfare, preoccupato per il benessere dei suoi cittadini. Ora che le risorse economiche risultano insufficienti, i dirigenti puntano il dito verso l’embargo economico decretato dagli Stati Uniti considerandolo responsabile della crisi. Ma, in realtà, questa deriva, come da anni segnalano economisti e tecnici, non dall’embargo, che è di data recente, ma dall’incapacità del Governo di gestire i beni pubblici e, in particolare, l’industria più importante del Paese, permettendo che il cancro della corruzione la distruggesse lentamente. L’industria petrolifera, per rinascere dalle ceneri, avrà bisogno di tempo. Ed è proprio quello che non ha, visto che i paesi industrializzati hanno avviato un profondo processo di trasformazione tecnologica orientata verso la produzione di energia pulita, consone con la protezione dell’ambiente.

L’ulteriore svalutazione della moneta, in risposta al processo di iperinflazione che vive il paese da ormai troppi anni, non è altro che una operazione di estetica. Risolverà il problema immediato inerente alle operazioni bancarie, ma allo stesso tempo impoverirà ancor più la popolazione. In effetti, come accaduto in Italia durante la transizione dalla lira all’euro, la tendenza truffaldina sarà ad “arrotondare” verso l’alto i prezzi. Lo ha già fatto il Governo, nello stabilire il costo della benzina sussidiata. Questa è passata da 0,005 bolívares il litro a 0,1. Ovvero, paragonato ai prezzi precedenti, il litro di benzina è passato da 5 mila a 10 mila bolívares. Quella decisa dal Governo Maduro è la terza svalutazione in 20 anni. E, in soli 13, ha cancellato ben 14 zeri dalla moneta, segno che l’iperinflazione non è stata assolutamente sconfitta né controllata.

È in questo contesto, che si svolge il “Tavolo di dialogo” tra Governo ed Opposizione. Un incontro il cui obiettivo era assicurare elezioni libere, trasparenti e democratiche; tema che, invece, non è stato ancora affrontato. Mentre la delegazione dell’Opposizione pare disorientata nel labirinto costruito da quella del Governo, il paese si appresta ad affrontare una ulteriore ronda elettorale dalla quale, stando agli esperti in materia, uscirà ulteriormente rafforzato. L’autocrazia elettorale venezuelana, oggi, approfitta delle profonde divisioni che dilaniano l’opposizione per continuare al potere. Il cammino verso una vera democrazia e la crescita economica pare sempre più lontano.

Mauro Bafile